III - Un'antica leggenda (pt.1)

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L'aria era immobile, soffocante

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L'aria era immobile, soffocante. L'aroma di primavera, così delicato e invitante, che quella notte di maggio aveva portato seco era oppresso dalla calura e dal lezzo che aveva ben imparato a distinguere. L'odore marcio del sangue e quello aspro del metallo, l'umido del sudore e il salato del pianto. L'odore della guerra.

Dei corvi si alzarono in volo, gracchiando eccitati e facendo schioccare i becchi macchiati dai tetri pasti. L'uomo raddrizzò il capo e sollevò lentamente le palpebre. Le scure sagome degli uccelli si aggiravano rapaci nel cielo che cominciava a virare al violetto.

Sentono la battaglia, pensò. Subito dopo si corresse: no, sono solo abituati ad essa. Hanno visto i movimenti nel campo e sanno che entro stasera ci saranno abbastanza cadaveri da saziarli per mesi, perfino anni.

Una morsa gli strinse le viscere, come a ogni veglia prima di un combattimento. Quella volta, tuttavia, le fitte erano più intense, quasi il suo corpo fosse cosciente dell'importanza di ciò che stava per accadere. Forse, invece, era la sua mente a esserlo e voleva convincersi di non essere l'unica a portare un fardello così opprimente. Quel giorno avrebbe suggellato, nel Bene o nel Male, la fine della contesa che straziava il mondo da troppi anni oramai.

Un debole chiarore apparve ad oriente, delineando la piatta linea dell'orizzonte. Una luce cupa e malata cominciò a prendere possesso del terreno scuro, creando grottesche ombre per la legge dell'equilibrio. Il suo sguardo sorvolò la distesa infinita e le luci lontane parecchie miglia di un accampamento, l'avamposto dell'esercito di Alethia. Non scorgeva nessuna vetta, tuttavia percepiva il malato richiamo di Toll ka-Devöer. Era attratto da quel luogo oscuro, era innegabile: nonostante il ribrezzo e l'odio, il timore e il dolore, provava anche uno sconcertante senso di familiarità e appartenenza.

Le dita corsero al fianco destro, dove la cintura era chiusa da una fibbia al cui centro splendeva una pietra di ineguagliabile purezza. Delle scintille corsero dalla punta dell'indice alla superficie lattiginosa dell'opale e viceversa, poi la gemma si disintegrò. Una frazione di istante più tardi essa si ricompose nel palmo dell'uomo, trasformata in una spada dalla lama più candida della neve appena caduta.

Il sole sorse, affaticato e livido come un morente che, nel delirio della febbre, scorge un'ombra che gli porge la mano. In quel momento il guerriero si domandò come gli eventi che avrebbero seguito quell'alba sarebbero stati ricordati dai posteri. Una vittoria? Una sconfitta? E lui, l'Incantatore che aveva stravolto entrambi i piatti della bilancia, colui che era stato maledetto con un potere che non avrebbe dovuto esistere, sarebbe stato un eroe o un mostro?

«Io non sono né l'uno né l'altro», mormorò, stringendo febbrilmente l'elsa dell'arma nel futile tentativo di convincersi.

Gli parve di sentire l'eco di una risata, sebbene non riuscisse a capire se fosse reale o solo un ricordo. In entrambi i casi, il messaggio era assai chiaro: quelle parole erano false, e lui lo sapeva.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon