XXIII - Filo spezzato (pt.3)

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Era il tramonto quando infine la ragazza si decise ad uscire, la mantella di lana che la madre dei due bambini le aveva prestato avvolta attorno alle spalle e il pugnale di suo padre nascosto nello stivale

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Era il tramonto quando infine la ragazza si decise ad uscire, la mantella di lana che la madre dei due bambini le aveva prestato avvolta attorno alle spalle e il pugnale di suo padre nascosto nello stivale. Fu più traballando che camminando che la giovane raggiunse la porta che per ore aveva scrutato senza attraversare; e fu con occhi dardeggianti che si affacciò dalla soglia.

Kala aveva già visto i carri in cui i girovaghi vivevano - anni prima uno di quei strani gruppi di vagabondi aveva raggiunto Vahrel e si era accampato per un paio di notti fuori dalle mura - e sapeva che la stanza in cui si era svegliata doveva essere l'interno di una di quelle strane case su ruote, eppure anche così ciò che vide una volta fuori dalla porta la lasciò spiazzata. Intorno a lei si stendeva un vero e proprio villaggio - anzi, un labirinto - di carri, in cui le strade erano i solchi lasciati dalle ruote nel terreno gelato, le botteghe dei cesti accatastati di fianco alle ruote e le mura di cinta delle rovine intrecciate agli alberi. Mille odori - di legna appena tagliata, di panni insaponati, di sudore, di stalla, di minestra mezza bruciata - aleggiavano nell'aria, talmente forti da sopraffare nauseabondi ogni altro senso; mentre camice e gonne rattoppate ondeggiavano al vento, appese a spessi fili di canapa tesi tra le pareti scrostate dei vagoni. Una lieve musica echeggiava in lontananza, un'orchestra confusa di flauti, tamburelli e stonati strumenti a corda.

La diciassettenne si aggrappò allo stipite della porta, le dita pallide e le labbra serrate. Se non fosse stata così debole e affamata, il suo volto si sarebbe contratto in una smorfia di ribrezzo e diffidenza. Dei, dov'era finita?

«Ehi, mocciosetta: sbrigati a scendere quei due gradini, se vuoi cenare!» Failen la aspettava ai piedi della scaletta in legno, le manine sui fianchi magri coperti da una gonna di stracci.

«Non mi chiamo "mocciosetta"!» sibilò Kala, stringendo i pugni. O meglio, stringendo un pugno: la mano sinistra, completamente fasciata, giaceva inerme sotto le pieghe della mantella.

Failen ghignò, facendo dondolare l'incisivo da latte con la lingua. Se la prima volta che l'aveva fatto era rimasta delusa che la ragazza fulva avesse solo sbuffato irritata anziché urlare di disgusto, ora la bambina pareva provare un sadico piacere nell'infastidirla ostentando il suo dentino traballante. «Chissenefrega», ribatté con una linguaccia. Poi, esortandola con un'imprecazione che fece sgranare gli occhi alla ragazza, la piccola le afferrò una mano - non quella fasciata, fortunatamente - e la tirò a forza giù dalla scala di legno.

Fu così che Kala venne trascinata traballante per quel dedalo di carri, chiedendosi in ogni istante perché - perché, per Dabih! - era sfuggita dagli artigli della strega corvina e della morte solo per finire tra quelle persone dimenticate dagli dei. A ogni falcata, a ogni curva, la voce stonata dei flauti e dei tamburelli diventava più intensa, fino a che la diciassettenne non sbucò in uno spiazzo circolare tra i vagoni. Un vivido falò scoppiettava al centro di quell'improvvisata piazzetta, mentre tronchi rovesciati e sgabelli che avevano decisamente visto giorni migliori creavano piccole isolette di legno su cui già molti girovaghi avevano preso posto. Almeno una quarantina di persone erano già radunate lì: tra esse la ragazza riuscì a scorgere cui Tuam e la madre - su un tronco abbastanza vicino al fuoco, insieme a quel farabutto inquietante che i bambini chiamavano "zio" e un uomo che Kala non conosceva -, oltre che a un gruppetto di giovani intenti a suonare strumenti di fortuna.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum