VI - L'alba delle Ombre (pt.3)

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Un rumore di passi fece alzare lo sguardo di Mik dall'antico volume che stava spolverando con amorevole cura

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Un rumore di passi fece alzare lo sguardo di Mik dall'antico volume che stava spolverando con amorevole cura. «Ah, Garen,» disse nello stesso istante in cui il cantastorie usciva dal dedalo di scaffali, «hai finito così presto di leggere?»

Il quarantenne sbuffò. «È quasi sera, se non l'hai notato», rispose tra i denti.

«Davvero?» Il bibliotecario si accarezzò la corta barba sul mento e guardò fuori dalle finestre. Una luce rossastra avvolgeva il sole che già sfiorava i picchi più alti delle montagne. «Capisco. L'alba delle ombre, quando le belve d'oscurità che inseguono Zaukas nel cielo lo raggiungono e iniziano ad azzannarlo. Mi pare ricordare che, secondo molte leggende, il sangue del dio che si spande nei campi celesti...»

«Non mi interessano i tuoi borbottii.» Garin si avvicinò alla scrivania dietro la quale era seduto il sessantenne dalla pelle bronzea. Le occhiaia che già quel pomeriggio gli segnavano il volto tirato erano diventate scure come lividi e i suoi capelli impolverati erano aggrovigliati in malo modo.

Mik non sussultò quando le mani dell'uomo sbatterono con forza sulla superficie del tavolo. «Non spaventare i miei piccoli», lo rimproverò invece, avvicinando a sé i libri e i rotoli di cartafoglia sparsi sul ripiano ligneo.

«Per Minhar e Dabih!» inveì l'altro. «Apri gli occhi, vecchio! Proprio tu, grazie ai tuoi piccoli,» l'ironia nella voce era evidente, «dovresti riuscire a vedere meglio di tutti la verità.»

Il bibliotecario lisciò la copertina di un tomo sgualcito. «La tua invidia nei confronti di An ti sta portando troppo oltre, Geran.»

«Non è...» il bardo iniziò, poi si interruppe come se fosse appena stato colpito da un lampo. «Mi sono appena reso conto di qualcosa», scandì con cipiglio sospettoso. «Tu non sbagli il suo nome. Mai.»

L'altro alzò tranquillo l'indice e il medio. «Due lettere», fu la sua semplice spiegazione. Sospirò. «Fra poco inizierai a dubitare degli scoiattoli tra gli alberi, Gaven.»

Stringendo i pugni talmente forti da farli tremare, il cantastorie controllò il cielo attraverso una finestra e indietreggiò fino a trovarsi davanti al portone. «Sono sicuro che il cacciatore mi avrebbe dato ascolto», ringhiò. «Anche lui sentiva che fidarsi di lei era pericoloso. "Il pizzicore alla nuca che viene istanti prima di un fulmine" definiva quella percezione, e io non riuscirei a trovare metafora migliore.»

Negli scuri occhi vispi guizzò improvvisamente curiosità. «Il cacciatore?»

Il quarantenne afferrò la maniglia e spalancò violentemente un'anta dell'ingresso, esponendo la polverosa quiete al brusio della piazza. «Quello che è stato sbranato dai lupi due anni fa, vecchio», tuonò mentre le sue falcate stizzose lo portavano fuori dalla biblioteca.

La porta si chiuse con un tonfo, smorzando i saluti e le risate degli abitanti che si affrettavano a tornare a casa prima del calar delle tenebre. Mik appoggiò il busto allo schienale della sedia, lo sguardo assorto rivolto verso il soffitto attraversato da travi. «E così, di veramente potenti ce n'erano due», mormorò assorto, percorrendo con l'indice il titolo in rilievo di uno dei volumi sulla scrivania.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Where stories live. Discover now