XXV - Ossidiana di Sangue (pt.1)

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Padre!

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Padre!

L'opale sfavillò, palpitante. No, non poteva essere! Teucer era stato ucciso da quei maledetto lupi, lui era... era...

Senza quasi rendersene conto la giovane era già scattata in avanti, gli occhi colmi di lacrime. Dei, era lì, era vivo! Ora tutto sarebbe andato bene, tutto sarebbe tornato finalmente a posto! Già poteva poteva sfiorare con le dita il momento in cui si sarebbe rifugiata nell'abbraccio di suo padre, già poteva sentire l'orlo dei suoi vestiti sotto la sua mano, quando i suoi occhi videro ciò suo cuore aveva voluto ignorare.

In un solo istante mille dettagli la colpirono come uno schiaffo: la corta spada che pendeva dalla cintura di cuoio; le decorazioni di osso e di metallo che proteggevano le estremità dell'arco, a cui l'uomo si appoggiava come bastone; i forti riflessi rossastri nei capelli scuri. Il soffuso alone dorato che avvolgeva quel corpo fatto non di carne e stoffa, ma di minuscole particelle roventi.

Il respiro mozzato come se avesse veramente ricevuto un colpo nello stomaco, la giovane traballò all'indietro. «Tu non sei Teucer!» L'uomo la ignorò: rivolse un altro cenno del capo alla giovane coppia che aveva salutato e iniziando a camminare lontano da lei. Avanzava a fatica, quasi zoppicando, appoggiandosi al suo arco come se fosse un bastone e cedendo ogni volta che il suo piede destro sfiorava il terreno.

La diciassettenne arretrò, l'opale stretto nel suo palmo che ormai pareva un cuore di luce, facendo dardeggiare lo sguardo intorno a sé. E un'ondata di tremiti incontrollabili prese possesso del suo corpo. Dei dov'era finita? Edifici in pietra e legna sorgevano ai lati della strada di ciottoli sconnessi - alcuni a malapena integri, molti ridotti a rovine bruciate e crollate -, mentre vicino alle mura scheletri di torri e archi vertiginosi si parevano appoggiarsi esausti a ciò che rimaneva di robuste mura merlate. In lontananza, una catena di monti affilati si stagliava contro il cielo di mezza estate. E ovunque l'adolescente guardasse, ovunque i suoi occhi sempre più terrorizzati si posassero, non vedeva che colori e forme distorte da quel maledetto alone dorato. Tutto era sabbia: le porte cigolanti, i volti delle persone che si affrettavano intorno a lei, le piume degli uccelli appollaiati sui tetti. Perfino l'aria era colma di quelle particelle incandescenti, trasportate da pigre correnti invisibili come foglie dalle acque di un lago.

Il grido di un corvo echeggiò nella strada, distorto dal fruscio di mille granelli di sabbia, e Kala balzò all'indietro, scontrandosi con uno di quegli individui fatti di sabbia. O meglio, passandogli attraverso.

«Dabih!» ululò la ragazza, mentre i vortici di sabbia si riunirono e l'individuo tornò intero, continuando a dirigersi verso una delle botteghe incastrate negli scheletri degli edifici come se nulla fosse successo. Dei, che inganno era quel...

Una forza invisibile la strattonò in avanti, facendola cadere rovinosamente ai piedi di un uomo. No, non un uomo qualsiasi: l'impostore. Ira ribollì nelle sue viscere, ira per quella scintilla di speranza frantumata e per quello sconosciuto che aveva osato rubare l'aspetto di suo padre. «Chi sei? Rispondimi!» Gli gridò addosso, alzando lo sguardo. C'era una piccola bisaccia allacciata alla sua cintura, nella quale l'adolescente scorse ciò che sembrava una stella rovente.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt