XIV - Crocevia (pt.2)

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La stanza era immersa nell'ombra

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La stanza era immersa nell'ombra. Solo una sottile lama di luce lunare filtrava dalle pesante tende, delineando con un sottile contorno argentato il modesto mobilio di legno. Un armadio dalle ante socchiuse, un tavolino dalla gamba barcollante posto vicino a uno specchio rettangolare, un paio di sedie su cui erano ammassati i vestiti del giorno prima e due letti, ciascuno occupato da un ingombrante rigonfiamento delle coperte.

Aryane dormiva nel giaciglio più vicino alla porta, i capelli biondi sparsi sul cuscino come tanti rivoli di sabbia dorata. Kala, invece, occupava quello adiacente alla finestra, ma il suo corpo non era il solo a riposare su quel materasso. Un gatto dal pelo tigrato era acciambellato vicino al ventre della ragazza, il muso nascosto tra le zampe e le vibrisse appena frementi. Di tanto in tanto le orecchie si drizzavano in aria per sondare il silenzio infranto della notte, ma quasi subito tornavano a riposo. Ormai il felino aveva imparato che i cigolii del pavimento e le parole ridacchiate nel sonno dalla quindicenne non erano una minaccia.

L'ultimo spicchio di luna aveva appena raggiunto il suo apice nel cielo quando Tebas sollevò di scatto il muso, gli arti già tesi grazie ai suoi riflessi di predatore. Nessun suono aveva rotto la quiete ovattata tipica di una casa addormentata, eppure gli occhi ambrati del felino scrutavano attenti la camera, come se temesse di scorgere un nemico. O sperasse di vedere un amico.

Una folata di freddo si incuneò nell'aria tiepida della stanza, facendo rabbrividire nel sonno le due addormentate ma non l'animale. La coda frustò i fianchi ocra una volta, poi lo sguardo attento del gatto si posò sull'angolo più buio della stanza, quello vicino al letto in cui riposava la sua padrona. Miagolò piano, tuttavia quello non era un verso né di paura né di sfida. Era anzi un suono allegro, simile a quello che emetteva dal fondo della gola per salutare la giovane dai capelli rossi quando la udiva aprire la porta della cucina.

Fu allora che la creatura emerse dalle tenebre, silenziosa e aggraziata come la morte stessa. Una folta pelliccia biancastra copriva i muscoli scattanti dell'essere, increspandosi quasi opalescente a ogni movimento. Piccole macchie circolari intaccavano tuttavia quel candore che pareva risplendere di luce propria, coprendo il dorso e le zampe dell'animale; il ventre era invece puro come la neve dei ghiacciai.

La bestia avanzò, tenendosi adiacente al giaciglio, fino a torreggiare sul micio. Vedendo i due animali fronteggiarsi in quel modo, ciascuno immobile quanto una statua di marmo, nessun occhio avrebbe potuto negare quanto quella fiera assomigliasse a Tebas - e anche quanto fosse diversa. Il muso e la corporatura erano in tutto e per tutto quelli di un felino, tuttavia erano anche permeati da una maestosità selvaggia che ai gatti mancava. La belva era inoltre grande, perfino più di un lupo: le sue zampe avevano quasi le dimensioni di una mano umana e le orecchie scure che si ergevano vigili sul capo avrebbero potuto sfiorare il petto di un uomo adulto. Mai gli abitanti di Vahrel avevano visto una creatura del genere, né dal vivo né sulle pagine inchiostrate di un libro. E di ciò, essa ne era ben cosciente.

Il leopardo delle nevi chinò la testa e fece brillare i suoi occhi, azzurri come una lastra di ghiaccio e completamente privi di pupilla. Schiuse appena le fauci - rivelando così il balugino delle zanne affilate come pugnali - tuttavia non le usò per mordere né per ruggire. «Bentrovato, piccolo Tebas.»

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Место, где живут истории. Откройте их для себя