XV - La Danza delle Lame (pt.1)

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Il tetto appuntito e pieno di guglie del maniero si stagliava contro il cielo plumbeo come uno scoglio affilato, emergendo dalla marea di alberi ormai spogli che lo circondavano

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Il tetto appuntito e pieno di guglie del maniero si stagliava contro il cielo plumbeo come uno scoglio affilato, emergendo dalla marea di alberi ormai spogli che lo circondavano. Una robusta cinta di mura senza feritoie né cancelli secondari imprigionava la struttura, ergendosi per difendere la costruzione da qualsiasi attacco esterno. O, meglio, per impedire a chiunque fosse stato trascinato lì di uscire senza permesso. Pareti decorate da entrambi i lati con colonne per formare corridoi coperti dividevano lo spazio che separava i bastioni dall'edificio in cinque cortili, quattro grandi punteggiati da persone avvolte in tuniche nere che combattevano e uno piccolo, largo a malapena una ventina di passi, in cui un solo uomo camminava lento.

Sparviero avanzava a passi misurati, esplorando le armi lucide esposte sulle grate davanti a lui e cercando di nascondere l'ansia che stava mordendo ogni suo nervo. Aveva perfino rallentato i suoi respiri nell'inutile tentativo di calmare il suo cuore che da quell'alba batteva nella sua gabbia toracica come un passero rattrappito dal freddo e ferito a morte. La tensione era un'alleata in un combattimento, in quanto aiutava a mantenere i sensi vigili e i muscoli sempre scattanti, tuttavia quel tipo di ansia che ormai da giorni lo attanagliava non aveva fatto altro che logorarlo, sera dopo sera. L'emozione che lo tormentava racchiudeva quelle di un condannato a morte legato in prigione, di un soldato alla vigilia della battaglia, di un uomo di fronte al passaggio più importante della sua vita: in quel momento lui si sentiva tutti e tre allo stesso tempo.

La Danza delle Lame. Quando, neppure mezza settimana dopo lo scontro con Pendragon, Teyrnon in persona gli aveva comunicato che sarebbe stato sottoposto a quella prova, aveva fatto di tutto per mantenere una maschera di impassibilità venata di onore. La sua anima, invece, aveva gridato forte come solo nella propria mente si può fare. Aveva ululato come un lupo separato dal proprio branco, come uno scalatore che mette il piede in fallo e precipita nel vuoto, come nei sogni faceva per non dimenticarsi chi era stato. Tutti nella Setta avevano sentito parlare di quel rito di passaggio e, sebbene alcuni bramassero più di altri l'arrivo di quel momento, tutti sentivano un brivido di puro terrore scendere lungo la spina dorsale quando esso veniva menzionato. Né le Ombre che l'avevano passata né i vertici dell'organizzazione avevano mai spiegato in cosa consistesse, pertanto molte speculazioni erano state tessute attorno a essa, teorie che Sparviero non aveva mai ascoltato. Prima bisognava pensare al presente e a come arrivare a sera, pensava infatti il quarantenne: era inutile rompersi la testa per cose che sarebbero avvenute in un nebuloso futuro. Solo a una cosa aveva prestato attenzione, l'unica certa e di gran lunga la più importante: non c'erano seconde opportunità, perché vincere era l'unico modo per vivere.

Ora, il giorno che si era rifiutato di temere - anche se una parte di lui aveva iniziato a farlo da quando aveva messo piede nel maniero della Setta - e che da quasi un mese pesava sul suo capo come una spada era infine arrivato. Era stato svegliato prima degli altri, quando il cielo era ancora scuro; portato a fare colazione nel grande salone di pietra ancora vuoto; condotto in una stanza angusta dove Lupo lo aveva sottoposto a una specie di cerimonia e infine rinchiuso in quel cortile con l'ordine di scegliere le proprie armi. Poteva portarne due, massimo tre, gli avevano detto: almeno una per lo scontro a distanza ravvicinata e almeno una per colpire i bersagli da lontano. Aveva appena finito di passare a rassegna le grate su cui erano esposte le lame che rientravano nella prima categoria e alla fine aveva allacciato alla cintura i foderi per una coppia di dagul, coltelli gemelli dalla forma incurvata e dal manico terminante con un'acuminata spina metallica. Pratici, semplici e richiedenti poca forza bruta, aveva scoperto già da tempo che si adeguavano alla perfezione al suo stile di combattimento.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Où les histoires vivent. Découvrez maintenant