VIII - Lama incandescente (pt.1)

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Con il pugnale stretto in una mano e la torcia fiammeggiante nell'altra, la ragazza dai capelli rossi camminava guardinga nel bosco illuminato fiocamente dai raggi argentei della luna piena

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Con il pugnale stretto in una mano e la torcia fiammeggiante nell'altra, la ragazza dai capelli rossi camminava guardinga nel bosco illuminato fiocamente dai raggi argentei della luna piena. Aveva ormai rinunciato a indossare i guanti, i quali erano riposti nella tracolla che le pendeva da una spalla: in tal modo avrebbe potuto avere una presa migliore sulle sue uniche due difese contro la belva che - ne era certa - si aggirava ancora tra quegli alberi. Dalla sciarpa di lana invece, avvolta in malo modo attorno al collo, baluginava cupo un ciondolo metallico rappresentante la testa di un felino. La giovane l'aveva tirato fuori dal corsetto appena si era allontanata dal tronco sfigurato dai segni d'artigli: nella situazione in cui si trovava, l'ultima cosa che voleva era essere tormentata dai Wiht o da qualche altro spirito assai più minaccioso.

Il ferro è nemico delle creature magiche, recitò in silenzio, sfiorando con il manico del coltello l'amuleto che riluceva sul suo petto. Non doveva temere nessuna minaccia sovrannaturale, o almeno sperava: al solo pensiero degli spiriti assai più temibili dei Wiht che avrebbero potuto vagare nella foresta con l'assenza del sole, quasi sperava di incontrare prima l'animale che le aveva impedito di rifugiarsi tra le mura di Vahrel. Sempre che quello non sia qualcosa di più di un lupo o un orso, aggiunse tra sé e sé. Era da un po' che considerava la possibilità, in particolare modo dopo aver visto quei graffi sulla corteccia. Quale predatore, inoltre, si lasciava sfuggire la propria vittima non appena essa è a terra o indifesa? Quando era caduta per evitare di essere schiacciata dall'albero, il suo inseguitore avrebbe potuto raggiungerla e affondarle gli artigli nella schiena. Invece, l'aveva semplicemente superata. Si morse un labbro, resistendo a malapena all'impulso di iniziare a torturare una ciocca di capelli: se fosse veramente stato uno spirito o un mostro sfuggito al controllo degli dei, la sola vista del pugnale avrebbe dovuto allontanarlo.

«Non ha senso!» esclamò calciando un cumulo di foglie secche, senza rendersi conto di aver dato letteralmente voce ai suoi pensieri. L'unica cosa cui riusciva a pensare era che la belva si fosse stufata della caccia o che avesse trovato una preda più appetibile, come una lepre o un cucciolo di cervo. Allora perché lei continuava a guardarsi le spalle, perché si sentiva sempre perseguitata da un vigile sguardo invisibile? E perché non smetteva di rabbrividire, come se si trovasse immersa in una tinozza d'acqua gelida?

Kala chiuse le spalle a riccio e avvicinò a sé la torcia per combattere il freddo, mentre i suoi occhi cerulei esplorarono a fatica la vegetazione rischiarata dall'astro notturno in cerca di qualsiasi cosa che sembrasse stata costruita da mano umana. Da qualche parte oltre i fitti tronchi avrebbe dovuto scorgere uno dei piccoli rifugi - più simili a stalle chiuse che abitazioni, in realtà - usati dai cacciatori quando erano costretti a passare anche giorni di seguito nella foresta, o almeno così sperava di ricordare. Suo padre ne aveva accennato un paio di volte: si trovava a ridosso di una parete rocciosa, a qualche giro di clessidra da una radura simile a una meridiana. Quel paragone la diciassettenne non l'aveva mai veramente capito, né Teucer non aveva mai veramente risposto alle sue domande quando le aveva poste. Credeva che in quel luogo fosse successo qualcosa, un evento di cui anche sua madre era a conoscenza, date le fugaci occhiate che i suoi due genitori si erano scambiati quando un giorno aveva chiesto di vedere quel luogo.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Where stories live. Discover now