XIII - Vecchio scoiattolo (pt.3)

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Kala sbatté a fatica le palpebre, mentre ogni respiro leniva un poco i polmoni arroventati e i cocci della sua coscienza scivolavano al loro posto, saldandosi nuovamente insieme

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Kala sbatté a fatica le palpebre, mentre ogni respiro leniva un poco i polmoni arroventati e i cocci della sua coscienza scivolavano al loro posto, saldandosi nuovamente insieme. Una mano le sosteneva salda il capo fulvo, aiutando l'aria a scorrere nella trachea; il resto del corpo giaceva scomposto sul lastricato incrostato di neve e ghiaccio.

«Cosa ti è successo, ragazzina?» la rimproverò decisa una voce. Una gracchiante voce femminile.

La giovane torse sorpresa il collo per riuscire a guardare chi aveva parlato. Incrociò il volto rubicondo e pieno di rughe di una donna anzianotta, i cui capelli ormai grigiastri erano raccolti in una crocchia dietro la nuca. Due grinzosi occhi marroncini, troppo piccoli per il resto del volto, la scrutavano con disapprovazione dai lati di un naso camuso attraversato da una piccola cicatrice. Le spalle larghe erano coperte da uno scialle frangiato simile a quelli ricamati di Isabhel, solo di un banale color fango. Quando la diciassettenne reclinò il capo, si rese conto anche dell'origine della fragranza di pane fresco che la stava solleticando: il cestino coperto da un panno appeso al braccio sinistro della donna.

«Sei la figlia dell'erborista, nevvero? Mi sembrava: non ci sono capelli uguali a tuoi nella valle da un paio di generazioni. Meglio così, voi rossicci siete solo dei combinaguai», sbuffò acida la vecchia. «Si può sapere che cosa stavi combinando, accasciata da sola in questo vicolo?»

«Da sola?» sfuggì all'adolescente con tono roco. Il suo sguardo dardeggiò nella strada: di Mik non c'era neppure l'ombra. Era scomparso nel nulla, come a volte riusciva a fare nel dedalo di scaffali e libri che considerava il suo regno.

«Senza contare quel topo che si è rifugiato in qualche buco, sì.» La comare tese la bocca sottile in una smorfia di disgusto. «Stavi aspettando qualche ragazzaccio, per caso?»

«Cosa? Dei, no!» A fatica Kala si mise a sedere, tenendosi la testa con una mano. «Deve essere quel malore che molti hanno. Mi ricordo avere un'attacco di nausea prima che si facesse tutto nero: probabilmente sono scivolata sul ghiaccio», improvvisò, cercando di essere il più convincente possibile senza farsi prendere dal panico. Aveva ancora impressa nella mente la sensazione di lento soffocamento dovuta all'inarrestabile risata isterica. Saiph, era ancora uno dei miei sbalzi d'umore? Non sono mai stati così forti, né ravvicinati. Mag Mell, cosa mi sta accadendo? È opera di quella strega, ne sono certa!

La vecchia parve delusa dall'assenza di dettagli piccanti - probabilmente stava già pregustando il pettegolezzo sulla punta della lingua - e, dopo ancora qualche goffo tentativo di farla cadere in errore e portarla confessare chi stesse aspettando in quella stradina deserta, si offrì di riaccompagnarla a casa. La ragazza scosse la testa: doveva ancora portare l'ultimo infuso di erbe alla nipote del fabbro. Allora fino alla piazza: era per quello che aveva imboccato incautamente il vicolo, giusto? No, non ce n'era bisogno. Sì che ce n'era bisogno! Veramente era ancora stanca, magari si sarebbe appoggiata al muro per riprendere le forze. Ah, l'appuntamento galante stava aspettando lì, vero? Lei non aveva nessun appuntamento, se non con una tisana e forse un raffreddore! Giovani, sempre irrispettose. Va bene, si scusava, tuttavia ora poteva riavere il suo braccio?

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Onde histórias criam vida. Descubra agora