XVII - Solstizio (pt.2)

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La neve battuta da decine di stivali e dalle ruote di qualche raro carro formava un sentiero che attraversava come una freccia lo spazio tra la città e la foresta

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La neve battuta da decine di stivali e dalle ruote di qualche raro carro formava un sentiero che attraversava come una freccia lo spazio tra la città e la foresta. La ragazza percorse quasi tutta la via guardando indietro, stringendo i pugni tremanti e sbattendo in continuazione le palpebre per trattenere le lacrime che danzavano sulle sue ciglia. Gli scricchiolii dei passi di Diòmas e An erano l'unico suono che accompagnasse il suo continuo voltarsi e il frenetico dardeggiare dei suoi occhi di ghiaccio: il bianco uniforme che aveva coperto la valle sembrava assorbire ogni altro rumore.

La giovane continuò a scoccare occhiate verso Vahrel anche quando i primi alberi iniziarono a nascondere la forma massiccia e rassicurante delle mura. Con le mani stringeva attorno al collo il bavero del mantello per trattenere il tepore che Tebas le aveva lasciato addosso dopo essere rimasto acciambellato sulle sue spalle per più di un'ora. A ogni passo i suoi stivali affondavano un po' di più nella neve, rallentando come se ci fosse una corda attorno la sua vita che la tirava indietro.

Vahrel è ancora lì. È difficile abbandonarla, ma è ancora lì. Dentro le sue mura c'è vita, c'è la solita quotidianità che continuerà per molto tempo ancora: non è perduta per sempre.

La diciassettenne scrutò i merli dei bastioni, ormai a malapena visibili oltre la ragnatela di rami scheletrici. Sì, era lì, appena oltre quel pezzo di foresta. Tutte quelle volte che si era addentrata nel bosco non si era mai resa conto di quanto le mura sembrassero così vicine anche dopo più di cinque giri di clessidra di cammino. E allo stesso tempo così maledettamente lontane.

Guardare farà ancora più male.

L'adolescente serrò le palpebre lucide di lacrime e si costrinse ad avanzare fissando i rami spezzati dalla furia di una tormenta che spuntavano dal freddo manto invernale. Eppure ogni falcata si faceva sempre più fiacca, più debole, e sapere che appena oltre la barriera degli alberi la città era ancora parzialmente visibile le straziava il cuore. Serrando le mani nascoste sotto il mantello continuò, continuò fino a quando le parve di indossare scarpe di ferro ai suoi piedi. Allora si voltò ancora una volta e con una dolorosa fitta al cuore sentì la corda spezzarsi con un colpo secco: le mura di Vahrel erano ormai scomparse nella foresta.

«Ragazza, non rimanere indietro! È tempo di lupi, questo.»

La penultima parola pronunciata dal cacciatore la fece trasalire e la spronò a raggiungere gli altri due con una corsa resa faticosa dalla neve e dalla sacca bitorzoluta che si era issata in spalla. Nel momento in cui incrociò lo sguardo severo e indagatore di An - dei, perché la stava scrutando così, come se lei fosse una statuetta di Shabti particolarmente utile? - desiderò ardentemente che un branco di quelle bestie bavose e piene di pulci sbucasse da dietro qualche albero scheletrito e attaccasse la donna corvina. Almeno Alethia sarebbe stata liberata da un'anima che aveva stretto il patto con Minhar e... No, cosa stava pensando? Se quella strega avesse incontrato dei lupi sperava che avrebbe utilizzato i suoi poteri arcani per farli soffrire, guaire, gemere e poi ridurli tutti in un sanguinolento ammasso di pelliccia e interiora. Quelle bestie non meritavano pietà: non ne avevano mostrata alcuna quando avevano sbranato suo padre e l'altro cacciatore!

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Where stories live. Discover now