XXIII - Filo spezzato (pt.1)

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«Presa!» rise il bambino, saltando fuori dai teli lasciati ad asciugare su un basso ramo

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«Presa!» rise il bambino, saltando fuori dai teli lasciati ad asciugare su un basso ramo.

Failen fece appena a lanciare un gridolino di spavento prima di ritrovarsi stesa nella viscida pozza di fango che si stendeva come un piccolo lago davanti alle radici dell'albero. Annaspando e lottando contro la melma, si issò sui gomiti e sventolò minacciosa il pugno minuto verso il fratellino. «Tuam!» urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, sovrastando il placido canto del fiume. «La pagherai, Tuam!» In tutta risposta il piccolo sghignazzò, scuotendo i capelli scuri simili agli aculei di un riccio, poi sfrecciò via.

Esclamando a gran voce una delle numerose imprecazioni che aveva imparato da zio Aròn, la bambina arrancò fuori dal fango. Viscidi rivoli marroncini gocciolavano dai vestiti che parevano - e in effetti erano - fatti di vari avanzi di tessuto, formando delle piccole macchie sul terreno tra i suoi piedi. Arricciando le labbra in una smorfia minacciosa, raccolse tra le sue mani screpolate una generosa manciata di melma e corse a perdifiato verso il groviglio di rovi e cespugli in cui il fratellino si era infilato. Inveendo con parole colorite - di cui spesso non sapeva il significato, ma che aveva notato gli adulti diventavano rossi come lamponi nell'udirle - ogni volta che la sua gonna già stracciata in più punti e i suoi lunghi capelli castano chiaro si impigliavano in qualche ramo, Failen avanzò fino a raggiungere una spiaggetta pietrosa circondata dagli alberi. E lì, aguzzando la vista per combattere contro la notte che stava già avanzando da oriente, vide Tuam, accovacciato vicino al fiume per schiacciare qualche insetto con un bastoncino.

«Vendetta!» ruggì Failen, balzando dal suo nascondiglio e lanciando addosso al fratellino il poco fango che le era rimasto ancora tra le dita.

Il piccolo indietreggiò, esclamando quelle che alla bambina parvero distorte imitazioni delle imprecazioni preferite di zio Aròn e cercando di togliersi con le sue paffute manine sporche gli schizzi di melma che gli imbrattavano il mento, le guance e il collo. «Mi hai sporcato tutto: guarda!»

La sorella si avvicinò, torreggiando su di lui dall'alto dei suoi setti anni e mezzo - insisteva sempre su quel "e mezzo": la faceva sentire più grande. «Io vedo solo la tua pellaccia scura», lo prese in giro con una vistosa linguaccia e additando in un gesto di scherno il suo volto imbrattato di fango. Il bambino aveva la carnagione di un intenso olivastro, come quella di zio Aròn. Come quella di tutti gli sciagurati delle isole, sbottava esasperato l'uomo ogni volta che lei portava a galla la questione. Failen invece non era del sud: con il suo incarnato di un lieve dorato e i suoi lineamenti sinuosi ricordava a tutti la gente della capitale. Erano talmente diversi di aspetto, lei e Tuam, che più volte aveva sentito sconosciuti deridere il loro legame di sangue e insultare loro madre - una donna bionda e pallida come la neve - con epiteti che facevano abbassare lo sguardo a tutta la famiglia. Erano parole che nessuno avrebbe mai dovuto pronunciare, diceva ogni volta nonna Enur, accarezzando i loro capelli e avvolgendoli tra i lembi del suo scialle color oliva, mentre li confortava seduta su un tronco o sulle scale della sua carrozza. Specialmente se non si conosceva la storia di una donna, aggiungeva sempre, prima di salutarli con un affettuoso buffetto e andare a consolare loro madre, accasciata singhiozzante in qualche remota parte dell'accampamento.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Where stories live. Discover now