XIX - Sii acqua, sii fuoco (pt.1)

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Il villaggio in cui An decise di fermarsi alle ultime luci del giorno si chiamava Selm, come annunciava chiaramente un pannello di legno mezzo marcio appeso su un albero di fianco alla strada

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Il villaggio in cui An decise di fermarsi alle ultime luci del giorno si chiamava Selm, come annunciava chiaramente un pannello di legno mezzo marcio appeso su un albero di fianco alla strada. A Selm non c'erano mura vere e proprie: erano i muri sudici delle case più esterne, uniti tra loro da lingue di pietra e fango secco, a formare una sorta di guscio protettivo per la cittadina. Per miglia tutt'intorno si stendevano campi innevati, attraversati da vie percorse da carri e cavalieri e punteggiati da piccole chiazze di alberi spogli, forse le rovine di un bosco che un tempo sorgeva lì. A est il fiume Argat luccicava lontano, quasi un miraggio sulla linea dell'orizzonte, mentre a nord le sagome dei monti che circondavano Adaed parevano distanti ombre create dalla nebbia. Se c'era un posto capace di sembrare il centro del nulla, pur essendo di fianco all'incrocio di diverse strade maestre, quello era Selm: così aveva pensato Kala non appena vi aveva messo piede. Dopo due minuti nelle strade rese fangose dalla neve mezza sciolta, l'opinione sul luogo era cambiata assai. E non in meglio.

La giovane si strinse nel mantello, ma non per il freddo. Alla sua sinistra si levò indiscreto un commento capace di far rizzare i capelli sulla nuca a qualsiasi donna e la diciassettenne digrignò i denti fino a farli stridere. Le sue dita serravano convulsamente il pugnale di Teucer dissimulato sotto le pieghe della stoffa, tenendolo aderente al petto come se esso fosse la sua unica ancora di salvezza. Neppure nella foresta, quando era inseguita da quell'invisibile bestia, le sue unghie avevano tracciato solchi così profondi nel legno del manico.

Arricciando le labbra come un lupo ringhiante, l'adolescente scoccò un'occhiata di puro odio alla donna corvina che camminava al suo fianco, sovrastandola di almeno un palmo e mezzo. Anzi, forse quasi due. Dovevano fermarsi proprio lì, nevvero? Non avrebbero potuto sostare nella città vicino alla gola tra le montagne che avevano raggiunto all'alba e in cui si erano separate dal gruppo di Bran? Era carina, quella, con i suoi muri colorati e i festoni di vischio ancora appesi alle porte delle taverne. Anche quella in cui un paio di ore prima avevano congedato Varnid - dei, il bugiardo aveva promesso, no, giurato a Bran e gli altri che avrebbe portato lei e An dai mercanti con cui avrebbero poi raggiunto il sud! - non sembrava male. L'uomo con il cappello e i denti scheggiati le ispirava tutt'altro che fiducia, ma perfino rimanere nello stesso villaggio - o, Alnilam, anche nella stessa taverna! - di Varnid ora le sembrava una sorte meno grama di passare la notte a Selm.

Ci sono luoghi peggiori anche di questo.

Non a Vahrel! Non nella sua valle! Il suo stivale calpestò con ira un pezzo di ghiaccio mezzo sciolto che giaceva per terra. Mai nella sua città si era ritrovata a controllare continuamente con gli occhi la bisaccia e la sacca che contenevano i suoi pochi averi, mai passeggiando per le vie del più sperduto villaggio dedicato al commercio di pelliccia aveva temuto di sentire la lama di un coltello sfiorarle la schiena. O qualcosa di peggio. Molto peggio, come suggerivano parecchi commenti che aveva udito.

La diciassettenne quasi urlò e sfoderò il coltello di Teucer quando una mano le strinse impietosa la spalla, spingendola verso la porta di un edificio spalancata e scura come le fauci di un lupo. Il grido a fior di labbra si tramutò tuttavia in un soffio infastidito simile a quello di un gatto, non appena l'adolescente scorse il viso severo di An alla fine del braccio e l'insegna sbiadita di una taverna cigolare sopra la porta.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt