IX - L'inganno del Negromante (pt.1)

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Dei passi pesanti echeggiarono sul pavimento di pietra nera, facendo tremare le rare fiaccole che rischiaravano a malapena qualche spicchio del corridoio dall'alto soffitto a volta

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Dei passi pesanti echeggiarono sul pavimento di pietra nera, facendo tremare le rare fiaccole che rischiaravano a malapena qualche spicchio del corridoio dall'alto soffitto a volta. Una sagoma simile a quella di un cavaliere ammantato scivolava decisa della penombra e al suo passaggio le pareti stesse di pietra parevano entrare in subbuglio, tremando al contatto dell'ira che essa emanava.

L'individuo raggiunse una delle poche zone di luce e la fiamma riuscì per un attimo a rivelarne l'aspetto, prima di spegnersi agonizzante. Un'armatura del colore della notte ricopriva interamente il corpo, non lasciando trasparire neppure un infimo pezzo di pelle. Dalle placche metalliche delle spalle, prive come il petto di qualsiasi insegna, si dispiegava un lungo mantello che pareva essere stato tessuto con le tenebre stesse. Un lungo segno bianco sfregiava invece come una cicatrice l'elmo, correndo verticale sopra e sotto l'occhio destro.

Il Negromante guardò ancora la piccola perla rossastra che volteggiava attorno alla sua mano corazzata. Una singola goccia di sangue raccolta e conservata da uno dei suoi Spettri quella stessa sera. Un frammento della ragazza che, come aveva testimoniato tremante lo spirito oscuro non appena era stato riportato ad Alethia, si era legata all'Opale.

Sette anni! inveì in silenzio. Per sette anni non un sussurro era sorto attorno a quella Neahmnaid, non una voce aveva mormorato di un Incantatore che fosse stato designato per impugnarla. Alcuni avevano perfino osato obiettare che, forse, la Bianca Spada era andata distrutta. Non erano che degli stolti, degli ignoranti: essa era il simbolo stesso di colui che era stato il suo più grande avversario, l'Incantatore che ormai le leggende consideravano un eroe. L'ironia della sorte.

Giunse alla fine del corridoio, sigillato da una porta massiccia. A un semplice scatto delle dita, le ante si aprirono senza un rumore e il Nemico varcò la soglia. Si trovava in una grande stanza circolare, sorretta da un colonnato che creava con il muro continuo uno stretto ambulacro. Non c'era nessun mobilio o decorazione, salvo per tavolino posto di fianco alla porta, su cui erano posti un paio di scrigni e delle ampolle panciute. Una luminescenza purpurea emanata dalle incisioni sul soffitto rischiarava l'ambiente privo di finestre e di torce, proiettando ombre sovrannaturali che sembravano contrarsi continuamente come le spire di un serpente.

Lo stregone fece scattare la serratura di uno scrigno con un semplice guizzo degli occhi vermigli e da esso prelevò un bastoncino avorio lungo quanto il suo indice. Spezzò il gessetto a metà e lanciò ciascuna delle due parti in avanti. Seguendo i movimenti imperiosi della sua mano destra - la sinistra era ancora occupata dal vorticare della piccola gemma liquida - le stecche friabili iniziarono a tracciare con un lieve stridio delle linee sul pavimento. I segni biancastri si stendevano sfrecciando da una parte all'altra della sala, intrecciandosi in forme sempre più complesse finché raggiunsero il culmine del loro fiorire.

Il Negromante fece tornare i gessi ormai quasi del tutto consumati nel loro ripostiglio, poi osservò la sua opera. Sulle lastre di pietra scura risaltava ora un elaborato mandala di cerchi, pentagoni e rune. Sembrava quasi la tela viscosa di un ragno pronta a imprigionare una sventurata mosca e, come qualsiasi trappola, non aveva che bisogno di altre due cose: un'esca e una preda.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Where stories live. Discover now