XIII - Vecchio scoiattolo (pt.4)

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Mik affondò il volto negli strati di sciarpe che si era gettato addosso prima di uscire di casa, lasciando liberi solo i suoi vispi occhi scuri che brillavano riflettendo la luce del falò

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Mik affondò il volto negli strati di sciarpe che si era gettato addosso prima di uscire di casa, lasciando liberi solo i suoi vispi occhi scuri che brillavano riflettendo la luce del falò. Un buffo cappello di lana era calato sulla fronte in modo da proteggere le orecchie sensibili e il cranio, già completamente pelato e liscio come un ciottolo del fiume. Nonostante fosse talmente imbacuccato da sembrare un ammasso di vestiti più che un essere umano, rabbrividì. Quelli come lui venivano da un posto caldo, sosteneva suo nonno, in cui gli inverni più rigidi erano paragonabili alle primavere ancora acerbe della valle. Certo, anche in quel regno le vette delle montagne erano perennemente coperte da ghiaccio, ma lì gli amirthiani si avventuravano solo nella loro forma animale. Già il bibliotecario aveva avuto occasione di appurare infatti che da scoiattolo riusciva a sopportare temperature assai più rigide di quando era un uomo. Merito della folta pelliccia color bronzo, senza ombra di dubbio.

«Gli dei dovevano fissare questa festa durante il solstizio, vero? Scalmanati!» borbottò sottovoce il quarantacinquenne, senza che nessuno riuscisse a udirlo attraverso gli strati di lana e nell'aria colma di suoni. Erano tutti in visibilio: battevano le mani sui tavoli ingombri di piatti sporchi degli avanzi della seconda cena che era stata servita allo scoccare preciso della mezzanotte. Qualche pezzo di arrosto e una fetta di torta, annaffiata con vino e latte caldo, era il pasto che gli abitanti si erano goduti quella sera, rispettando le tradizioni della loro religione. Neppure un'ora dopo che i cuochi avevano portato il cibo, la folla era in trepidante attesa del rito che sarebbe avvenuto di lì a poco.

Mik cercò di chiudersi su sé stesso per conservare meglio il calore: soffriva terribilmente il freddo, e non c'era forse momento più gelido del cuore della notte del ventunesimo di dicembre. Avrebbe volentieri passato la serata sotto le morbide coperte del suo letto o, meglio ancora, tra i suoi adorati piccoli, tuttavia a quell'evento tutti i cittadini erano tenuti a partecipare. Era durante il Tramonto di Arrakis, la dea della luna che quel solstizio d'inverno era coperta da minacciose nuvole cariche di neve, che le bimbe nate quell'anno venivano consacrate agli occhi dell'intera Mag Mell e i genitori dichiaravano ufficialmente il nome dei loro fagottini urlanti, facendoli entrare nella comunità di Vahrel. Una simile cerimonia, l'Alba di Zaukas, era fissata invece durante il solstizio d'estate per i maschietti sotto i dodici mesi di età.

Il bibliotecario si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo quando vide il borgomastro - un individuo canuto abbastanza in carne - salire sul palco aiutato da Ruten, un giovane fabbro che aveva iniziato a interessarsi alla vita politica. Il quarantacinquenne aveva recentemente scoperto con sgomento che - dopo qualche centinaio di volte che il ragazzo dalle mane callose glielo aveva ripetuto mentre spulciava libri di storia e intrighi di potere - aveva imparato quel nome correttamente. Era da anni che ciò non succedeva e, mentre cercava una posizione più comoda sulla panca, l'uomo dalla pelle bronzea pensò che non sarebbe più avvenuto ancora per un lasso di tempo altrettanto lungo. Ci voleva qualcosa di veramente straordinario affinché più di tre lettere rimanessero impresse nella sua mente e lui era convinto che ormai tutti gli eventi emozionanti di quel lustro erano finiti. Meno di dieci giri di clessidra più tardi si sarebbe reso conto di quanto si stesse sbagliando.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Where stories live. Discover now