XXI - Cockatrice (pt.1)

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C'era silenzio

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C'era silenzio. Non il solito silenzio ovattato della notte, che a un orecchio attento si rivelava pieno di fruscii e mormorii: no, quello era un silenzio vuoto, pieno di gelo e di morte. Anche il vento sembrava essersi fermato tra le fronde, per evitare di disturbare la figura che si stagliava nelle tenebre. La sagoma di un uomo vestito di nero, inginocchiato per controllare qualcosa sul terreno incrostato di ghiaccio.

Senza preavviso una luce giallognola scaturì dai solchi lasciati dalle dita affusolate dell'intruso, illuminandone il pallido volto affilato e i lunghi capelli biondi trattenuti da un laccio di cuoio all'altezza delle scapole. I palmi tracciarono rapidi un intreccio di semicerchi a mezz'aria e con un minaccioso crepitio i bagliori si spensero, facendo ricadere la foresta nell'oscurità. Il buio, tuttavia, per quanto fitto e impenetrabile sarebbe sembrato agli occhi di un umano, per l'individuo non presentò alcun problema: senza un segno di esitazione si alzò e si incamminò tra gli alberi, sicuro dei suoi passi come se stesse viaggiando con la luce di mezzogiorno.

Un sinistro sorriso sornione affiorò sulle labbra di Pendragon mentre si allontanava. Pensare a come Teyrnon e gli altri patetici membri della Setta credessero che le trappole più elaborate della Danza delle Lame fossero solo azionate da qualche corda e contrappeso aveva su di lui un effetto simile a quello di una sadica barzelletta. Oh, certo, era possibile creare marchingegni così complicati senza magia, ma gli umani di quell'epoca non avevano più tali conoscenze. Così, si era offerto di... aiutare a creare il percorso che gli assassini avrebbero dovuto completare per ascendere al rango di Ombre Notturne. Le tecniche imparate nel suo regno avrebbero aiutato: così aveva persuaso re Hender e Lupo. Ciò che si era dimenticato di menzionare, era la natura arcana di quelle tecniche.

Udiva già il ruggito della cascata in lontananza quando raggiunse l'ultima trappola di cui doveva rinnovare l'incantesimo che la azionava. Era un peccato, davvero un peccato, che da Spettro non riuscisse a creare sigilli che durassero più di un anno. La magia runica poteva continuare ad agire per secoli, perfino millenni, quando utilizzata da un Incantatore vivente. Un morto come lui, invece, doveva accontentarsi di una misera manciata di mesi.

L'Elfo si rialzò, sbattendo le mani tra di loro per pulirle dal terriccio e dal sangue che le imbrattavano. Quel caldo liquido vitale era uno dei migliori elementi con cui tracciare i simboli arcani, e quando doveva controllare le trappole ne portava sempre appresso un corno pieno. Essendo a capo di una setta di assassini - e prendendo anche talvolta parte alle missioni più intriganti -, quello non era di certo un ingrediente difficile da procurarsi per lui. Anzi, forse era qualcosa di fin troppo facile da ottenere.

Gli occhi tempestosi si mutarono per un istanti in ardenti braci vermiglie, e il topazio incastonato nell'anello venne attraversato da un lampo di ombra. C'era solo un sangue che sarebbe stato difficoltoso versare, ed era quello che bramava di più. Anelava il giorno in cui avrebbe fatto alla maga dai capelli corvini ciò che lei aveva fatto a lui, quel giorno di diecimila anni prima. Il desiderio di guardarla in quei lussuriosi occhi smeraldini mentre la vita la lasciava, di stringere il suo cuore ancora caldo e palpitante di paura tra le mani era un'agonizzante tortura. Una che, tuttavia, lui sopportava volentieri: la vendetta era assai più saporita quando non veniva guastata dalla fretta.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora