XXII - Le gole di Osselion (pt.2)

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Osselion era una città caotica, piena di vita

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Osselion era una città caotica, piena di vita. Sorgeva nel punto in cui la strada maestra si avvicinava di più al fiume Argat e in cui quel corso d'acqua - confine naturale dell'intero Regno - si incuneava tra colline erose dal tempo, trasformandole in gole. Due cerchia di mura la proteggevano e dividevano la sona dedicata ai viandanti da quella del centro, mentre una costellazione di fattorie e piccoli paesi si diramava dai bastioni più esterni. Eppure, Osselion era anche straordinariamente piccola: nei quartieri più esterni le strade abbastanza larghe da lasciar passare un carro si contavano sulla punta delle dita, e le case si accavallavano le une sulle altre, creando una sorta di via accidentata e nascosta per chi sapeva utilizzarla. Per una persona come lui.

Con falcate rapide quanto silenziose, Pendragon camminava su quella strada creata dai tetti di ardesia e protetta dalla seccante curiosità degli umani da file di comignoli e lievi dislivelli tra edifici. Indossava i suoi soliti abiti raffinati, caratterizzati dalla presenza di soli due colori - nero e vermiglio - e l'assenza di qualsiasi ricamo o ornamento. Perfino la cintura color sangue che teneva chiusa in vita il suo cappotto color ossidiana era priva di fibbia: un semplice sistema di nodi e cuciture nascoste manteneva l'intreccio di cuoio al suo posto. Quel giorno, tuttavia, ai suoi indumenti caratteristici si erano aggiunti un paio di guanti lisci e una corta mantella dotata di un cappuccio simile allo sgaille delle Ombre; mentre negli stivali - non quelli lucidi e levigati che portava quando doveva fingersi un nobile, ma un paio morbido e lievemente consunto - erano nascosti una mezza dozzina di pugnali da lancio.

O, meglio: una mezza dozzina meno uno.

Il biondo fece rigirare tra le sue dita affusolate la lama sporca di sangue, ammirando il particolare luccichio di quel viscoso liquido vermiglio e del metallo in quella luce grigiastra di inizio febbraio. Le labbra sottili si incurvarono in un lieve ma perfido ghigno. Era un peccato che alcuni umani non riuscissero a fare a meno di scoprire cose che non li riguardavano. A volte era una serva arrivata al momento sbagliato per portare una vivanda, altre era un uomo uscito troppo presto una mattina d'inverno o un bambino che inseguiva un pallone fatto di stracci. In qualsiasi caso, il risultato era sempre lo stesso: lui si dilettava a versare quella linfa calda e rossastra che gli ricordava com'era essere vivo o qualche Ombra si allenava ad essere un assassino. Molti nella Setta avevano versato così il loro primo sangue: facendo tacere chi aveva visto qualcosa che non avrebbe dovuto.

Con un movimento fluido lo Spettro asciugò la lama su un lembo del suo vestito nero, poi la fece scivolare di nuovo nello stivale. Quella volta, tuttavia, si era sporcato le mani di persona: tra gli assassini che aveva raggiunto ad Osselion non c'erano novellini che ancora credevano che prendere una vita fosse semplice come fare a pezzi un manichino di paglia. Anzi, degli otto uomini che erano con lui, sei erano Ombre del Crepuscolo: i più letali dell'intera Setta. I più letali tra i viventi, naturalmente.

Pendragon prese una breve rincorsa poi spiccò un poderoso balzo, trasformandosi in una macchia scura e sfocata contro il cielo grigiastro. Atterrò più silenzioso di un gatto sul bordo di una nuova fila di tetti, scoccando solo una breve occhiata alla viuzza che aveva sorvolato nello slancio. Anche lì gli umani patetici si affollavano, camminando spediti verso la loro meta o radunandosi a osservare la merce esposta sui davanzali delle botteghe senza mai alzare la testa.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Where stories live. Discover now