VI - L'alba delle Ombre (pt.1)

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Con un colpo secco di roncola, Kala recise una manciata di achillea dal terreno umido

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Con un colpo secco di roncola, Kala recise una manciata di achillea dal terreno umido. La linfa verdastra e viscosa di già altre piante imbrattava le sue dita senza guanti e rattrappite dal freddo, mentre la lama bronzea era coperta da una sottile patina di rimasugli vegetali. A ogni respiro, la ragazza si beava dell'odore che emanava il sottobosco: un effluvio di pioggia e di funghi e di foglie marce in decomposizione. Nonostante il fastidio del terriccio sotto le unghie, il vento che si insinuava attraverso gli strati di stoffa e le lacrime causate dal freddo che di tanto in tanto distorcevano la vista, lei si sentiva rinascere come un fiore appassito quando viene annaffiato.

Sopra la sua testa china le fronde d'oro e di rame ondeggiavano mormorando melodie di cigolii e fruscii. Il sole appena velato filtrava tra quei rami mezzi spogli, incendiando il suolo con sprazzi oscillanti di luce aranciata. La giovane si domandò se Tebas avrebbe cominciato a rincorrere quei riflessi tra le radici e sui tronchi se fosse stato presente, come faceva sempre quando Aryane muoveva un pezzo di vetro o di metallo davanti alla finestra. L'immagine del felino che miagolava di disappunto mentre artigliava invano la corteccia di un albero per ghermire una di quelle prede inesistenti le strappò una risatina, appena soffocata dalle labbra screpolate.

Dopo aver fatto scivolare le foglie frastagliate che aveva appena raccolto in un sacchetto di stoffa, controllò la tavoletta cerata su cui era inciso un conciso elenco. Qualche ammaccatura sfumava i bordi di alcune parole, mentre altre erano già state cancellate da una linea decisa. Mancavano solo un paio di nomi, tuttavia Kala temeva che avrebbe dovuto appellarsi a tutti gli dei per anche solo sperare di trovarne un gambo rinsecchito prima del limite impostole dalla madre.

Alzò lo sguardo verso nord. Da dov'era, poteva scorgere i merli grigiastri delle mura di cinta della città oltrepassare appena le chiome degli alberi. Mezz'ora di cammino, come ti avevo promesso, sospirò la diciassettenne. Rilesse ancora la lista: conosceva un luogo dove avrebbe potuto trovare una di quelle piante senza superare di troppo la distanza massima. Un paio di giri di clessidra in più verso meridione non sono una trasgressione importante, Saiph mi è testimone.

Allacciò di nuovo la roncola alla cintura e fece scivolare in spalla la tracolla, ormai appesantita dai frutti della raccolta e del piccolo taccuino che le aveva consegnato il bibliotecario. Non l'aveva ancora aperto, sebbene qualche volta le dita fossero scivolate curiose sulla copertina scura, accarezzandone il cuoio vecchio quanto consunto. Si domandava di continuo cosa contenesse, perché l'uomo gliel'avesse dato e, soprattutto, il motivo di quell'ultimo avvertimento. Di quali apparenze non mi devo fidare, Mik? Ti stavi riferendo ad An? Dei, quanto vorrei che non fossi scappato subito tra i tuoi libri.

Con questi pensieri in mente, la ragazza si mise in cammino. I suoi stivali in cuoio di daino, ricavati dalla pelle di una delle ultime prede che suo padre aveva portato a casa, affondavano di tanto in tanto nelle pozzanghere lasciate dalla pioggia del giorno prima, sollevando schizzi grumosi che si attaccavano all'orlo della gonna marroncina. In quel periodo dell'anno il bosco, solitamente colmo di cinguettii di uccelli e il raspare leggero di qualche zampa, era avvolto in una cappa di quiete. Ogni ramo incautamente spezzato, ogni lembo di stoffa impigliato in un ramo, ogni respiro troppo pesante sembrava un rumore più forte di quanto lo fosse realmente.

I Lacci dell'Araldo  [Il Libro di Alethia, vol. I]Where stories live. Discover now