Prologo

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Se l'uomo non butterà fuori dalla storia la guerra, sarà la guerra che butterà fuori dalla storia l'uomo- Gino Strada

Dopo aver visto cadere come foglie dagli alberi i tuoi amici più cari giorno dopo giorno, puoi dire di aver visto tutto nella vita.

Dopo aver visto dei generali nazisti prometterti il cielo e rubarti l'arcobaleno, niente ti sorprenderà.

Dopo aver visto tua madre piangere nella sua stanza per la scomparsa improvvisa e inspiegabile di tuo padre, beh... semplicemente cercherai di non dormire la notte per non correre il rischio di rivedere quella scena e struggerti, crogiolarti tra le lacrime come avrai imparato da tempo a fare per poi dire "stavo ridendo nel sonno" quando tuo fratello, dal piano inferiore del letto a castello in legno massiccio costruito dalle mani sapienti del tuo genitore, ti chiederà se stai piangendo o meno.

Non sono mai stato un tipo eccessivamente logorroico, e certe scene hanno tolto quel briciolo di loquacità che mi era rimasto.

Mia madre è (oppure era, chi lo sa?) la badante di una signora anziana che viveva esattamente all'angolo di fronte la nostra vecchia abitazione in Friedrich Strasse.
Ricordo ancora gli occhi rigati che incorniciavano il volto già di per sé sconvolto della mia mamma quando era tornata prima dal lavoro, dopo che i generali delle SS avevano fatto sbattere la testa alla povera signora solo perché si era rifiutata di dargli il suo anello in oro bianco con diamante, regalo donato dal marito poco prima che, qualche mese antecedente allo scoppio della guerra, morisse: tre giorni dopo nel cimitero mi trovavo a ringraziarla spiritualmente per tutti i biscotti di mandorle che mi aveva preparato nel corso della mia infanzia.

Mio padre, invece, era un uomo umile e onesto, e a maggior ragione non capisco perché i tedeschi se la siano presa con lui, o meglio non capivo, perché poi, diventato più maturo, ero entrato in contatto con i meccanismi di un mondo corrotto e poco meritocratico, realizzando che il denaro e la ricchezza vanno oltre un qualsiasi principio, la serietà e la buona volontà.

Proveniente da una famiglia della media borghesia, era da sempre conosciuto con l'epiteto di "uomo dalle mani d'oro" per gli oggetti di notevole fattura che creava.

Quello del fabbro, però, era un secondo impiego, in quanto era uno scrittore a tempo pieno.
Amavo leggere i suoi libri, e gli avevo chiesto più volte di inserirmi come personaggio, pur se secondario, di una delle sue opere.
Perché sì, erano vere opere d'arte, storie di valorosi guerrieri, di padri di famiglia, di donne rivoluzionarie e amori delicati tradotti sia in ebraico che in tedesco.

E poi è arrivato il Partito Nazionalsocialista, e la censura ha impedito la divulgazione totale o parziale dei suoi testi.

Il passaggio dai saccheggi al Ghetto è stato pressoché rapido e inarrestabile.
I generali tedeschi sono irrotti una mattina nel nostro quartiere con un elenco dei nomi di tutti i cittadini ebrei della Germania nazista che spuntavano a mano a mano che li prendevano e portavano via.

Quella stessa mattina osservavo pietrificato la scena accucciato dietro la finestra con mia madre che mi diceva di respirare meno affannosamente per non farmi sentire, nonostante le urla strazianti dei miei vicini coprissero perfettamente ogni mia misera espirazione.

Il sacrificio si era poi dimostrato vano dato che pochi minuti dopo dei soldati stavano bussando violentemente alla porta di casa nostra minacciando di estrarre i fucili nel caso in cui ci fossimo rifiutati di aprire.

Forse la loro falsa bontà era l'aspetto che più mi dava il voltastomaco in una situazione già di per sé intricata.

Mentre i generali cercavano di rassicurarci dicendo che la nostra casa era talmente debole da non resistere nemmeno ad un terremoto e che la nuova costruzione era molto più robusta, mia madre fissava un punto indefinito.
Forse stava riflettendo sul da farsi, ma credo che in cuor suo sapesse di non avere via di scampo.

Mio padre quel giorno era andato a riparare il tavolo di un suo amico presso Potsdamer Strasse, dunque, in quanto fratello maggiore, il compito di tranquillizzare i miei tre fratelli minori e chiuderli nella loro stanza tra bambole di pezza e giochi di legno spettava a me.

"Non vi preoccupate, abbiamo già portato il capofamiglia nella nuova casa. Se verrete con noi potrete rivederlo" ci avevano rassicurato i soldati, con quel forte accento tedesco e quell'odore acre di tabacco che lasciavano ogni qualvolta pronunciavano una consonante aspirata.

Proprio in quel momento, per quanto mi fosse sempre piaciuto mostrarmi come un adulto agli occhi dei miei fratellini, li invidiavo, li invidiavo perché avrei tanto voluto vedere quei generali e la guerra con i loro occhi, viaggiare con la fantasia, ed evitare di realizzare quanto brutto potesse essere il mondo.

Li avevo studiati per mesi in ogni minimo dettaglio, quei "salvatori della patria". Avevo osservato minuziosamente quanto ogni singolo capello fosse perfettamente incastrato in quella capigliatura bionda a spazzola, e quanto quegli occhi azzurri mettessero soggezione.

Tornato in soggiorno, avevo ritrovato mia madre esattamente nella stessa posizione di prima mentre i generali riempivano una scatola con dei gioielli e altri oggetti preziosi.
"Non si preoccupi", la rassicuravano, "li porteremo nella sua nuova casa."
E quel sorriso con cui lo dicevano era snervante: era uno di quei sorrisetti di circostanza, falsi, tirati al massimo come se ci fosse qualcuno a stendere gli angoli delle loro labbra, e, soprattutto, maligni.

Mi sembrava inverosimile che mio padre fosse riuscito a cedere alle loro lusinghe, ma in quel momento le loro pressioni impedivano ogni qualsivoglia forma di riflessione, così non esitammo a seguirli.
E non avremmo potuto fare scelta più errata.

E ora eccomi qui. Corro, corro senza una meta precisa, con il rimbombo dei proiettili alle mie spalle che potrebbero perforare la mia scapola, qualche vertebra o la cassa toracica da un momento all'altro, ma che fortunatamente vengono frenati dai tronchi degli alberi che fitti mi circondano.

Trovata una cavità naturale, creata forse dall'esplosione di qualche mina, mi accuccio e riprendo fiato.
Da quanto sto correndo? Non lo so, ho perso la cognizione del tempo ormai.

Dalla piccola cava fangosa spuntano solo i miei occhi nocciola che si mimetizzano con le foglie degli alberi cadute nel periodo autunnale, accatastate in un angolino, proprio come me.

Il buio intenso di questa notte gelida non permette ai soldati di individuarmi tra le piante, così mi superano, imprecando nella loro lingua.

Quando sono perfettamente sicuro di essere stato perso di vista mi metto a sedere, portando le ginocchia al petto e avvolgendole con le mie piccole braccia ossute.
Qualche anno fa avrei sognato un fisico così, magro, sottile e snello, ma ora che le mie gambe fragili non riescono a sorreggere il peso del mio busto vorrei tornare ad avere quel grasso di troppo di cui un tempo mi volevo sbarazzare.

Osservo i miei pantaloni consunti, la mia giacca logora e le scarpe consumate: erano abiti di papà che mia madre ha adattato al mio corpicino, e il fatto di averli rovinati mi fa sentire un vero fallimento.
Nonostante faccia veramente freddo, mi tolgo il cappotto ed esamino lo strappo all'altezza della mia spalla: certo che quel cane poteva evitare di aggredirmi dato che mi ero limitato a prendere un po' d'acqua dalla sua scodella!

Sfioro con le mani il tessuto dell'indumento che, al solo tocco, mi crea un lieve pizzicorìo, e mi soffermo su quella stella gialla attaccata tra il taschino e la fila di bottoni, o almeno quelli che sono rimasti.
La chiamano "stella di David" e simboleggia l'unione tra "Dio e uomo", ma se Dio è veramente tanto misericordioso e a contatto con noi mortali, come mai mi ha privato della libertà e di una vita serena con una famiglia e qualcosa da mettere sotto i denti?

Esamino con ribrezzo la scritta "Jude" che aleggia al centro dei due triangoli equilateri: mi ha sempre dato un senso di estraneità, mi ha sempre fatto sentire diverso, non degno di questo mondo.
Perché in fondo parliamoci chiaro, solo noi Ebrei abbiamo questo segno distintivo: non credo ci siano dei Russi che camminano per i loro quartieri con la scritta "Russisch" sul petto, o un Americano con la parola "Amerikanisch" scritta a caratteri cubitali su un pezzo di stoffa gialla.

Mi sento perso, privato di un'identità mia, senza un'anima, con le forze delle SS che manovrano ogni mio spostamento e il mio destino come se fossi una marionetta e loro i burattinai.

Voglio solo tornare a casa.
Voglio solo riavere indietro la mia vita.

Spazio autrice
Ciao ragazzi! Vi ringrazio tanto per aver deciso di intraprendere questo viaggio impegnativo con me!
Un bacio.
Ludo❤

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now