Capitolo 60

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GIORNATA DELLA MEMORIA
Frase del giorno: la verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta.
(Anna Frank)

Mentre Sarah tenta di riprendere sonno, io mi avvicino alla finestra.

Ho perso la cognizione del tempo e dello spazio, la fame e la sete ci stanno riducendo in polvere, e il cielo oscurato dalle nubi è estremamente pauroso.

È giorno, questo è certo, forse pomeriggio, e i fiocchi di neve suggeriscono che le temperature siano estremamente basse.

L'unico pregio dell'essere ammassati in un piccolo vagone è che, nonostante siamo costretti a condividere riserve di acqua e cibo, odori sgradevoli e lerciume, possiamo stare al caldo.

Davanti ai miei occhi, immagini di paesaggi straordinari si fanno vivide e di indescrivibile bellezza.

A boschi verdi e innevati si alternano piccole zone lasciate allo sbaraglio, orlate da cumuli di neve finissima.

Vorranno lasciarci in un bosco?

Onestamente spero di sì, perché, viste le mie avventure tra gli alberi del rifugio penso di essere riuscito a sviluppare un senso dell'orientamento eccellente!

Mentre rimango estasiato dalla vista del paesaggio, così vicino ma al tempo stesso troppo distante, il treno inizia a rallentare.

A questo punto, per evitare che la gente si accalchi attorno a me, mi faccio indietro, raggiungendo Sarah che continua a lamentare un forte mal di pancia.

«Cosa succede?» mi chiede con sguardo dolorante.

«Non lo so, Sarah, ma sento che il treno sta di nuovo rallentando. Forse ci daranno altre cose da mangiare!» tento di incoraggiarla, dedicandole un sorriso sincero.

Prego con tutte le mie forze di vedere altre prelibatezze entrare dalla finestra come per magia, ma forse mi sto aspettando troppa generosità.

Ed è così che succede qualcosa che crea un eccessivo stato di confusione e terrore: il treno si ferma.

«Ma dove siamo? Questo viaggio è durato giorni e giorni!» sento gridare.

Guardo la situazione generale: l'uomo delle fedi non fa altro che tenere la moglie tra le braccia, Malka cerca di tranquillizzare Sarah, i bambini, spaventati per la reazione dei genitori, piangono sonoramente, e il rabbino Sami continua a pregare.

Forse una risposta non tarderà ad arrivare: mentre i passeggeri parlano in maniera agitata, le porte del vagone vengono aperte.

Tengo stretta a me la mia valigia, e schermo il viso con la mia mano dai piccoli spiragli di luce che si insinuano tra le nuvole.

«Scendete! Sbrigatevi!» strilla un soldato, impartendo ordini.

I primi a scendere sono gli anziani, che vengono spinti con furore: essi prendono in braccio i bambini, aiutando le loro mamme a scendere.

Io, Malka e Sarah scendiamo quasi per ultimi, tenendoci stretti per non perderci.

In questo posto, la quantità di gente è indescrivibile.

«Fate silenzio! Ora lasciate le valigie qui! Scrivete i vostri nomi sopra. Le prenderete dopo. Vi verrà offerta una zuppa calda e la possibilità di farvi un bagno. Muovetevi!» insiste un altro soldato.

Facciamo come richiesto con diffidenza, prendendo in prestito una penna da un signore con la propria bambina, e lasciamo i nostri bagagli vicino al cumulo che si è venuto a creare: dentro, solo qualche vestito.

«Non spingete» si lamenta una signora anziana, che viene trasportata dalla grande folla.

Seguiamo gli altri: non sappiamo dove siamo finiti, e forse neanche vogliamo saperlo, perché assomigliamo alle anime dell'Inferno dantesco che stanno per essere traghettate da Caronte e smistate tra i vari gironi.

E non potrei trovare paragone più calzante, perché poco dopo le SS iniziano a mandarci nei diversi campi.

Dove sono?

Qualcuno dice che ci hanno sbattuti ad Auschwitz.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now