Capitolo 47

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Non appena lo vedo, percepisco il battito irregolare del mio cuore che rischia di fracassarmi la cassa toracica.

Vedo questo piccolo bambino di sette anni che corre a fatica nella campagna, allargando le braccia come se volesse simulare un piccolo aeroplano, e arrancando per il fiato che ora, tra lo sforzo fisico e le urla di gioia, inizia a venir meno.

Il bambino che si avvicina a noi con un sorriso infantile e speranzoso sulle labbra e gli abiti sporchi di immondizia, presumibilmente resti di cibo immondo e mangime per i maiali della campagna, è un ragazzino di soli sei anni, che corre senza sapere che ora, qui, con me, Anja, Malka, Sarah e il piccolo Michael può avere una speranza.

Quel bambino gioioso, impacciato, stanco ed eccessivamente mingherlino è il mio piccolo fratello Amos, con degli abiti logori, i capelli arruffati e le scarpe consumate, ma una gioia contagiosa per la vita.

Goditi la tua infanzia, mio piccolo Amos, perché il mondo degli adulti è meno roseo di quanto tu ti possa immaginare.

È un mondo complesso e frammentato, fatto di responsabilità, insicurezze, preoccupazioni, insulti, litigi e pericoli, e tu Amos, che sei ancora quel piccolo bambino che la mamma allattava tra le sue braccia, a quel tempo ancora materne, con quello stesso sorriso, quella voglia matta di fare scherzi e darmi il tormento, devi vivere al meglio ogni secondo che la Germania ti regala.

Anja mi stringe la mano con forza.

Io mi volto verso di lei, e tutto avviene in un millesimo di secondo: mi sorride, mi fa un cenno, e io corro verso mio fratello.

«Uri!» grida Amos, ridendo tra le mie braccia che lo stringono forte e lo fanno volteggiare per aria.

Ora nulla conta più di questo nostro intimo momento: né il sole che tramonta inesorabilmente, né la campagna aperta che è fin troppo esposta, né il tempo che ci scivola tra le dita come granelli di sabbia, e neanche il puzzo che un tempo, quasi un anno fa, aderiva alla mia pelle e inondava la rimessa del rifugio.

«Piccolo mio, non sai quanto mi sei mancato!» gli sussurro nell'orecchio, riempiendolo di baci.

Lui continua a divertirsi. Devo ammettere che in un primo momento, forse per la sorpresa e quasi un senso di estraneità, lo sento rigido sotto la mia presa, ma poi si rilassa, e si lascia rivolgere tutte quelle premure che non ho avuto modo di dedicargli in questi mesi.

Non sono mai stato esageratamente premuroso con i miei fratelli, ma ho pur sempre tentato di essere affidabile e presente, nonostante questa fase travagliata.

Quando capisco che ha bisogno di riprendere fiato lo metto a terra, non staccandogli gli occhi di dosso.

Mi era mancato il suo accento tedesco strascicato: Amos è un bambino piccolo, ma è molto intelligente, tanto da capire quando conviene parlare con più libertà e quando il Tedesco è necessario.

«Tu chi sei?» chiede dopo essersi accorto della presenza della mia accompagnatrice avvenente.

Non lo chiede con stizza o maleducazione, ma con una sorprendente curiosità.

«Ciao piccolo, piacere di conoscerti!- dice, abbassandosi alla sua altezza- Io sono Anja! Sono un'amica di Uri!» spiega, con un tono molto amichevole.

«Io sono Amos! Sei Ebrea?» chiede poi. La domanda gli risulta spontanea, eppure io devo riprenderlo per la naturalezza con cui questa domanda è uscita dalle sue labbra.

«Veramente no, piccolo. Io sono Tedesca, ma voglio essere tua amica, sul serio!» risponde Anja, tentando di rassicurare il mio piccolo fratellino.

Noto una certa tensione nelle sue parole, eppure riesce a nasconderla con un sorriso affettuoso.

Amos sembra fidarsi, tanto che lascia la mia mano alla quale si è aggrappato con insicurezza per un tempo indefinibile.

Con maturità e tenerezza le stringe la mano, sigillando così un simpatico patto e una nuova amicizia.

Insieme ci avviamo verso il centro, parlando del più e del meno.

Tutti noi tentiamo di omettere le parti più negative. Amos parla dei giochi che ha inventato con nostro fratello, degli amici che ha lasciato nel ghetto, del tanfo insopportabile di quel veicolo mastodontico, e di quanto gli manchi la nostra vecchia casa.

«Ci ritorneremo, Uri? Vero che ci ritorneremo?» mi chiede.

Caspita, Amos: oggi sei proprio in vena di farmi domande spinose!

«Chi lo sa, mio caro Amos! A volte fa bene cambiare, sai? La casa dove ora io e te andremo è veramente bella, ed è anche spaziosa! Questo non vuol dire che in futuro non ritorneremo qui, ma abbi pazienza» gli dico, scompigliandogli i capelli già di per sé arruffati.

Lui annuisce: mi sembra poco convinto, ma non è mai stato un bambino capriccioso o poco ragionevole.

«Dimmi, Amos: è stato divertente viaggiare nel camion?» chiede Anja, tentando di aggiungere del brio alla nostra conversazione.

«Oh, sì! È stato difficile salire, ma mamma mi ha aiutato! Mi ha detto di non dirlo ad Albert, però, perché lui mi vuole bene e poteva dirmi di non venire da te! L'altra settimana non hanno pulito il ghetto, e volevo vederti, però mamma mi ha detto di essere... come ha detto? Ah, sì, paziente! E ora sono qui!» esulta, spiegandomi per sommi capi le sue vicissitudini, eppure io non posso fare nient'altro che ripensare al nome che ha appena pronunciato, e a tutte le fandonie che gli sono state messe in testa.

Albert vuole proteggermi, Albert mi vuole bene, Albert mi vuole accanto a sé.

Il suo solo nome suscita in me uno sconforto tale da portarmi a serrare le mani a pugno, con le unghie che conficcano la mia carne, e le nocche bianche.

Mi volto, e noto Anja eccessivamente preoccupata ed evidentemente a disagio.

La guardo con sguardo interrogativo, eppure lei non mi presta attenzione, chiudendosi nelle spalle.

È insolito da parte sua: solitamente è fin troppo loquace, non riesce mai a dosare le parole, a parte quando è arrabbiata, e ha sempre una positività contagiosa.

Mentre camminiamo e ci addentriamo nel bosco, un senso di preoccupazione e di sconforto mi assale: sento quasi le anime degli orfanelli, mi sfiorano, mi sussurrano lamenti e parole agghiaccianti attraverso il vento che spira in maniera impetuosa, e prima che la notte possa coglierci accelero il passo senza dare spiegazioni, ripromettendomi che affiancherò sempre Amos, e questa volta affronteremo il nostro destino insieme.

In mezzo al sospiro del ventoUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum