Capitolo 15

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«Zeev, ti prego, basta» mugugno con la guancia schiacciata sul cuscino.

Questo bambino è una furia: ha passato la notte a tirare calci, rigirarsi tra le coperte, e, ovviamente, russare.

Dopo la nottata passata nella rimessa, al ragazzo spettava giustamente un posto, e quale camera poteva essere meglio della nostra?

Penso proprio che Zeev passerà da letto a letto ogni singola notte; anzi, lo metterò direttamente in stanza con Shimon: dopo la nostra conversazione è rimasto piuttosto schivo, nonostante la notizia mi abbia scioccato tanto quanto deve aver fatto soffrire lui.

Visto che i miei progetti ambiziosi di fare un lungo viaggio nel mondo dei sogni sono andati in frantumi, mi metto supino e comincio a pensare: ripenso a quella ragazza che inevitabilmente ha fatto breccia nel mio cuore, distruggendolo poi in mille pezzi senza un apparente motivo, alle nostre gare in bicicletta, alle volte in cui è venuta a casa mia per prendere ripetizioni, e anche al fatto che conoscevo l'esistenza di un fratello senza però averlo mai incontrato.

"Hai un altro, non è così? Magari un Tedesco, così da poter entrare in simpatia a quei farabutti che ci stanno portando verso un punto di non ritorno.
Dopo tutto il tempo che abbiamo passato insieme, tu mi ripaghi così? Entrando nella casa di qualche damerino?
Non avrei mai creduto possibile che tu potessi arrivare a sfiorare un'indecenza simile: ti credevo diversa dalle altre, eppure non sei tanto umile come dai a vedere.»

Erano parole dure, dirette, crude, dettate dal delirio e dal senso di inferiorità che da sempre mi contraddistingue, dalla costante paura di non essere accettato per le mie imperfezioni che si è materializzata davanti ai miei occhi. Erano solo supposizioni, eppure alla mia mente febbricitante sono parse realtà indissolubili.

Cosa hai fatto, Uri, per meritare una simile accoglienza nel rifugio? Quale Dio giocherebbe con la tua persona tanto da arrivare a creare un perfetto mix tra peccato e benedizione?

Formulo i miei pensieri, ma anche le mie conclusioni, e rido pensando a quanto la figura del nazista non sia nient'altro che il prototipo dell'uomo contemporaneo: in una costante, inevitabile collisione tra il bene e il male, tra i suoi istinti e ciò che è costretto a fare.

Quasi quasi preferisco Saul, il ragazzo che è nato tra queste mura, quello che, tranne che assaggiare una fetta di libertà e ribellione, ha fatto del bene per tutti, ha aiutato, elogiato, sorriso, pianto nei momenti più critici.

«Sta' fermo» imploro il bambino che mi ha dato un calcio al bacino, e mi metto prono, pronto a trascorrere ciò che rimane di questa notte nuvolosa tra ripensamenti e false speranze.

***

"Era bella, Dio se era bella. Stava stendendo i panni nella sua modesta villa di campagna.
Ricordo indistintamente ogni singolo particolare di quella giornata come se fosse ieri: gli uccellini che cinguettavano festosi, il vento caldo del sud che le scompigliava i capelli corvini, l'odore di rosmarino misto a lavanda, la sua veste candida, e lei che piena di pudore la abbassava tanto da farla arrivare alle caviglie.
È un ricordo di gioventù, e d'altro canto non vedo il motivo per cui io debba stare qui a parlartene, mio umile lettore.
Imparerai a tue spese che il viaggio della vita è lungo e impervio, e non sempre la gente è disposta a seguire la strada che tu hai scelto per te: tra l'amore e la vita, si contrappone un sentimento chiamato "orgoglio". Tu saresti disposto ad abbandonare il tuo, di sentiero, per qualcuno che ami? Le carte delle possibilità non sono poi così tanto vaste, non lo credi anche tu?"

Chiudo il libro che sto leggendo, segnando la pagina con una matita leggermente appuntita: si intitola "Vita e sentimento", e questo non è uno dei tanti capolavori di mio padre. È un saggio sulla vita e sulle scelte che essa comporta scritto da Adam Muraskin, un sorprendente scrittore ebraico dell'Ottocento, suicidatosi all'età di cinquant'anni per un apparente senso di solitudine: ha scritto tanto, eppure di questa effimera vita non ne ha colto un singolo particolare.

Mi alzo dalla scrivania e raggiungo i ragazzi nel salotto: oggi fa veramente freddo, tant'è vero che nessuno ha il coraggio di uscire per giocare a palla.

«Hey, ragazzi» saluto tutti.
Gli altri mi rispondono distrattamente con un cenno del capo: sono tutti intenti a leggere, e sono veramente buffi, disposti sul divano e la poltrona, e anche per terra, con la testa china sui libri.

«Qualcuno vuole giocare a dama?» tento, ma nessuno mi risponde.

«Uno alla volta ragazzi, vi prego, così mi lusingate» ironizzo, e, inaspettatamente, Shimon si alza, posa il libro mettendo un'orecchietta sul divano, e mi viene incontro.

«Giocherò volentieri» mi risponde, e gli altri, stupiti, alzano gli occhi dai loro testi.

Interdetto lascio la stanza e mi dirigo nella rimessa per prendere la scatola, rabbrividendo per l'aria gelida che mi sfiora il volto.

Torno in casa e poso la scatola sul tavolo, distribuendo le pedine.

«Quale sarà la prossima mossa?» mi chiede sussurrando, spostando il nero.

«Ehm... sposto il bianco?» rispondo insicuro, confuso per la sua domanda.

«Ma no, testone, intendevo la tua prossima fuga» mi spiega, cercando di abbassare il più possibile il tono di voce.

«Oh, beh, così su due piedi... mi prendi di sorpresa. Mossa obbligatoria» gli dico, tentando di concentrarmi sulle pedine.

«Senti, mi hai dato tanto su cui riflettere. Mia sorella potrebbe essere viva, e ho preso qualche appunto sui posti in cui potrebbe ipoteticamente trovarsi. I tuoi spostamenti ancora non mi convincono, e d'altro canto francamente non mi interessa chi tu sia o da dove tu venga, ma c'è qualcosa in te che mi dice che, insieme, potremmo raggiungere i nostri obiettivi. Tu sei scaltro, Saul, sai come aggirare i soldati, e io sono abbastanza coraggioso. Mossa obbligatoria» mi fa la voce alla fine.

«Beh, non sarebbe male come idea. La guerra dilania la città, e i soldati sono sempre più sospettosi. Stanno accadendo cose che non mi convincono a Berlino: la scomparsa dei nostri cari, il terrore di noi Ebrei, e in più c'è anche uno strano signore che mi ha detto di scappare da un treno» gli spiego.

Sono così concentrato sulle mie riflessioni che non mi accorgo che le mie pedine sono sparite.

«Spero che tu domani non sia così poco furbo. Ti aspetto in giardino. Porta un cestino, e magari anche un berretto» mi dice.

Sono troppo confuso, ma non faccio in tempo a chiedergli spiegazioni che già è sparito, così come le pedine sul tavolo.

  

In mezzo al sospiro del ventoWo Geschichten leben. Entdecke jetzt