Capitolo 45

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Mercoledì 26 settembre

È passata meno di una settimana dal mio ultimo colloquio con mia madre, e il cuore batte forte mentre mi dirigo verso la campagna, in attesa di trovare Yona o Amos.

Ho condiviso la notizia con Malka e Sarah e, nonostante la loro prima confusione e il loro scetticismo, si sono mostrate propense a supportare la mia decisione.

Sanno che sono testardo, e che quindi desisterò difficilmente.

Nel frattempo Anja è tornata a farci visita, con le mani puntualmente piene di buste e incarti vari, ma con un volto eccessivamente preoccupato.

Ho tentato di riappacificarmi con lei, ma si è mostrata schiva, e mi ha espressamente chiesto di rimandare la conversazione, perché il periodo non è dei migliori: non so cosa le passi per la testa, ma sono sinceramente preoccupato per lei.

Ormai mi trovo quasi a metà tragitto: intorno a me, essendo prima mattina, tutto tace, e questo silenzio mi sta lasciando un profondo senso di inquietudine.

Sto passando davanti all'ospedale quando qualcuno rischia di investirmi.

Non impreco per non dare nell'occhio, a maggior ragione quando noto chi sta guidando la bicicletta: Anja.

«Uri, ti prego dimmi che non sei te, perché se i miei occhi non mi ingannassero allora ti farei a pezzettini a mani nude» mi ammonisce lei, tentando di mantenere la calma.

«Sono proprio io» rispondo, stringendomi nelle spalle.

Lei mi trascina in una stradina dietro l'edificio, prendendomi per il gomito e provocandomi un dolore lancinante: se è una mossa volontaria, cara Anja, allora conosci proprio bene la posizione dei nervi!

Mentre ci addentriamo nel vicolo buio, riconosco il posto: è esattamente il luogo in cui ha simulato l'incidente per far sì che i medici e gli infermieri mi accogliessero nell'ospedale.

«Non so cosa tu voglia fare, ma non mi piace per niente, e ti assicuro che non ti appoggerò mai. La scusa della passeggiata di certo non me la bevo, sappilo.
Santo Cielo, Uri! Ti ho dato una sistemazione, una buona compagnia affidabile, beni alimentari a dismisura e vestiti, insomma, di tutto e di più! Cosa devo fare per farti capire che ora come non mai non è sicuro per te uscire fuori? Quando lo capirai? Quando un proiettile ti avrà trapassato il cranio? Quando ci sarà una fucilazione di massa nel cimitero? Quando ti trascineranno di forza su qualche strano veicolo verso posti poco sicuri? Qui si vocifera, Uri, e io assisto ogni giorno a questo genere di cose.
La gente sta sparendo improvvisamente, viene portata via, e io non voglio neanche pensare a cosa succederebbe se ti trovassero, quindi ti scongiuro, non metterti nei guai, perché sei diventato tutto per me» conclude.

Prima che possa aggiungere altro la ammutolisco, tappandole la bocca con un bacio.

È un bacio casto e tenero, che diventa via via più possessivo.

Le nostre labbra si congiungono alla perfezione, mentre lei mi stringe a sé.

È da questi piccoli gesti, dalla forza con cui mi stringe, mi dedica attenzioni e mi bacia, che capisco quanto sia spaventata, e quanto tenga a me.

«Anja, io sono solo un diciassettenne confuso e scapestrato, ma se c'è una cosa di cui sono certo è che ormai la mia vita con te, nonostante la stanchezza, la paura, le preoccupazioni e il terrore, è completa» le dico.

«Piano, piano, piano... sbaglio o hai detto diciassettenne? Non dirmi che hai compiuto gli anni senza dirmelo» mi sgrida.

«Ehm... ops! È stato il mese scorso, il ventinove agosto. Sai com'è, non volevo si sapesse che anche il grande Uri Almeda sta invecchiando...» scherzo, ma la sua espressione arrabbiata fa sparire il sorrisetto stupido dal mio volto.

«Mi rimangio quello che ho detto prima, maledetto טיפש*! Comunque, tornando alla nostra precedente conversazione, cosa ci fai qui?» mi chiede, dopo avermi ammonito in ebraico.

«È totalmente folle, ne sono consapevole, ma sto andando a prendere, se Dio mi farà la cortesia di assistermi, uno dei miei fratelli» le spiego.

«Spiegati meglio Uri. Dammi più dettagli, ne ho bisogno» mi implora.

«La scorsa settimana sono andato nel ghetto» inizio, tentando di ignorare il suo sguardo stupefatto.

«Ho trovato una situazione stabile e tranquilla nella casa. Non voglio approfittarmi della tua ospitalità, Anja, ma converrai con me che la situazione nel ghetto è ingestibile, e due bambini hanno bisogno di vivere in un luogo più prospero e pieno di amore, per lo meno in attesa che questa guerra finisca. Quindi ho deciso di prendere Yona e Amos con me.
Ormai ho la testa sulle spalle, sono responsabile, quando voglio, e potrei tenerli al sicuro.
Quindi sono andato lì, e ho chiesto di loro.
Li ho visti dopo quasi un anno, capisci Anja? Sono rimasto lontano dalla mia famiglia per un anno, e ce l'ho fatta!
Ovviamente non si sono presentati da soli: mia madre era con loro, e dopo varie mosse si è decisa ad ascoltarmi» continuo.

«Hai visto tua madre?» mi chiede Anja esterrefatta, sapendo che i nostri rapporti sono freddi e tesi da molto tempo.

«Ebbene sì. Se sarà coscienziosa manderà uno alla volta Yona e Amos da me, e io li aspetterò in aperta campagna. C'è un tipo fidato del posto che passa ogni tanto con il camioncino per raccogliere i rifiuti del ghetto, per lo meno quelli delle marionette. È così che io sono fuggito: nascondendomi lì dentro e uscendo quando le condizioni me l'hanno consentito» le spiego.

«Uri, tutto questo è estremamente pericoloso, ma ammiro il tuo coraggio e la prudenza con cui hai atteso momenti migliori per portare i tuoi fratellini al sicuro. Verrò con te» propone.

Io cerco di farla desistere, ma non riesco con nessuna misura a convincerla.

Da questo punto di vista è identica a Sarah: se non ci fosse stata Malka a trattenerla, mettendo al primo posto la sua salute, avrebbe distrutto porte e ucciso SS pur di accompagnarmi.

«Se proprio insisti ti accontenterò, ma restami vicina e non allontanarti mai. E tanto per essere precisi io non sono uno stupido, ma un folle innamorato spaventato da questo nuovo sentimento. È una cosa più grande di noi, ma non sai con quanta frenesia aspetto il momento in cui Hitler verrà cacciato a calci dalla Germania per mostrarmi alla luce del sole con te e vantarmi di quanto sia bella, intelligente e unica la mia accompagnatrice, ammesso che tu non sia attratta da me solo per il fascino del pericolo e che, quando e se passerà tutto, non mi lascerai per la noia» le dico, baciandole una mano.

«Questo non accadrà Uri, e sai perché? Perché anche io sono una folle innamorata, e desidero più di te che la guerra finisca presto e le leggi razziali vengano abolite per presentarmi come la fidanzata del leggendario Uri Almeda, che si è salvato e ha condotto un'esistenza eroica» scherza Anja.

Un senso di agitazione mi pervade.

Sono un eroe come dice lei, o la mia imprudenza e la morte degli orfanelli mi disonorano?

Sono una leggenda, o le continue fughe non fanno altro che rendermi una nullità?

Ma soprattutto, arriverò alla fine della guerra, o la morte arriverà a prendere anche me, e Anja, troppo affezionata a me, si struggerà per il dolore?

Mi dico che è molto meglio non fare progetti per evitare di rimanere oppressi dal senso di delusione.

Anja di sicuro ha notato il mio mutismo e la mia angoscia, perché mi prende la mano e me la accarezza dolcemente.

Prego solo Dio che non faccia la stessa fine di Shimon, desideroso di seguirmi, assoggettato alla mia intraprendenza, di Aaron e Zen, tutti attratti dall'irresistibile tentazione di emularmi, e di Alexander, che è stato vittima delle conseguenze.

Mi rendo conto che Anja è tutto questo: lei è il concentrato perfetto di Shimon, scontroso, Zen, intimorito, Aaron, determinato, Alexander, prudente, Zeev, ingenuo, Sarah, testarda, Malka, eccessivamente preoccupata, mia madre, ignara delle mie scorribande, e via dicendo.

Anja è esattamente tutto ciò, e mentre ci abbracciamo dopo essere usciti dal vicolo cieco, ci rivolgiamo verso il sole, certi che il destino ci riserverà qualcosa di imponente, ma senza conoscere l'entità di questo masso che pende come una spada di Damocle.

*stupido

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now