Capitolo 39

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Mentre Malka e Sarah si organizzano per dividere i letti e rendere l'ambiente ancora più accogliente, io cerco di vedere se negli sportelli degli armadi ci siano oggetti utili per la nostra permanenza: cibo, libri, vestiti e via dicendo.

Sfortunatamente le mie ricerche non danno i risultati sperati, non che mi fossi posto alte aspettative: la casa è disabitata, e di certo la velocità con cui gli eventi ci sono sfuggiti di mano non ha consentito ad Anja di prendere qualcosa.

«Che ne dici di Michael?» sento dire da Sarah nella stanza, nonostante i sussurri rendano le conversazioni pressappoco inaudibili.

Segue un breve scambio di battute da parte di Malka, che si conclude con un risolino del bimbo senza nome, il quale, con mio grande sollievo, si placa immediatamente.

Mi dirigo verso la stanza dove le donne discutono animatamente e, quando mi vedono, si bloccano per parlarmi dell'organizzazione più consona: Malka e Sarah dormiranno insieme, mentre io andrò nella camera da letto in fondo al corrioio, dove un quadro posizionato con cura e una precisione maniacale di Beethoven mi aspetta con trepidante attesa: la capigliatura sbarazzina, i capelli brizzolati e lo sguardo austero del compositore rendono l'atmosfera tetra, ma di un tetro che è curiosamente attraente.

«Come vi organizzerete con il bimbo?» chiedo, indicando la creaturina che è evidentemente stanca.

Tenere un bambino di pochi giorni in una casa che non è la nostra non è confortante, e non poter assicurargli una culla o un lettino dove soddisfare i bisogni primari lo è anche di meno.

«Dobbiamo per forza tenerlo tra di noi. Faremo attenzione a non fargli del male e a dargli tutto lo spazio di cui ha bisogno. In questo modo possiamo tranquillizzarlo con maggiore facilità, e tu ovviamente non devi preoccuparti di lui» mi spiega Malka.

«Già. Michael ha bisogno di spazio e coccole» osserva Sarah.

«Johann» la corregge la madre.

«Michael» insiste la figlia, e prima che la situazione possa degenerare, mi metto in mezzo.

«È tardi e dobbiamo fare tutti un bel sonnellino. 'Notte!» dico, e mi chiudo nella mia stanzetta.

Inizio a togliermi strati interi di vestiti, sentendo un sorprendente freddo che mi provoca brividi giù per la spina dorsale.

Rimasto in mutande, opto per il completo che ho indossato per notti intere nell'ospedale, lavato con amore dalla mia infermiera.

Conto le ore che mi separano dal prossimo incontro, sentendo l'irrefrenabile desiderio di abbracciarla, inspirare il suo profumo e guardarla negli occhi.

Mi butto sul letto, e i ricordi riaffiorano.

Nel dormiveglia, in una stanza buia ma accogliente, ripenso a quel ragazzino senza esperienza che, dopo aver incontrato un signore anziano nel bosco, ha speso nottate in una casa che di straniero aveva poco.

Rifletto sulla prima mattina che ho passato lì, e a come quello stesso senso di libertà ed euforia che ora mi pervade mi abbia spinto a saltare in mutande sul letto.

Nell'altra sequenza ci sono sempre io. I lineamenti, dato il breve lasso di tempo, sono i medesimi, ma qualcosa mi dice che questo ragazzo che ho davanti è più maturo e formato.

Nelle mie immagini, il ragazzo si riposa in un letto d'ospedale, stiracchiandosi e pensando a quanto una ragazza bionda dagli occhi espressivi sia stata cruciale per la sua sopravvivenza.

E ora, con un piede nella realtà e l'altro nel mondo dei sogni, mi rigiro sonoramente tra le coperte, vedendo l'alcova come un sicuro riparo dalla malvagità del mondo, e come un inequivocabile rifugio.

***

Mi stiracchio nel mio giaciglio, accarezzando il morbido tessuto in lino che mi ha accolto con gioia questa notte.

Mi metto a sedere, e la mia schiena incontra subito la parete fredda.

Mi guardo intorno, e dalle tende chiuse arriva un flebile spiraglio di luce, che lascia la stanza nella più completa penombra.

Con uno sforzo immane decido di alzarmi dal letto, e di dirigermi nella stanza delle mie nuove coinquiline.

Mi sento assolutamente disorientato, non ricevendo più i pasti a letto e avendo la possibilità di muovermi comodamente.

Busso, e qualcuno viene ad aprirmi la porta: è Sarah.

«Buongiorno» le dico con un imbarazzo velato.

«Buongiorno a te» risponde lei, regalandomi un sorriso smagliante.

«Entra» insiste.

Sarah indossa ancora i vestiti dell'ospedale, non avendo portato un cambio.

Spero di rimanere solo con lei il più presto possibile per parlare della sua malattia, dato che Malka ancora non si è ripresa da questa confusione che non le permette di guardare in faccia la realtà.

Entrato nella piccola stanza, vedo che la mamma sta allattando il bimbo senza nome sul letto. Imbarazzato sono tentato di uscire, ma lei mi rassicura con uno dei suoi sguardi materni.

«Ti ricordi quando sono nati i tuoi fratellini? Mamma li allattava e tu quasi pretendevi che morissero di fame per giocare con loro» mi ricorda Malka, mentre una fitta mi attanaglia lo stomaco: sento un senso di malinconia che mi destabilizza.

Ci ho riflettuto questa notte: vedrò come la situazione evolverà, e poi, nel caso, farò in modo di portarli con me.

Mia madre resterà sola come merita, e io riuscirò a metterli in salvo.

Non so come, ma ci riuscirò.

«Vuoi tenerlo in braccio?» mi chiede improvvisamemte Malka, mentre Sarah la aiuta a sistemarsi dopo che il bambino ha goduto di una colazione sostanziosa.

In un primo momento mi dimostro reticente, ma successivamente decido di allungare le braccia e di lasciare che la mamma mi affidi il suo bene più prezioso.

Metto una mano sotto la nuca, come ho imparato a fare, e lo guardo negli occhietti vispi.

Una nuova versione, quella di Uri padre, mi strappa un sorriso dalle labbra, mentre cullo tra le braccia Michael Johann.

Condivido con le coinquiline l'idea infantile che ho avuto sul nome, e loro la accolgono con gioia: spetterà a loro decidere quale nome usare quando il bimbo dovrà essere chiamato, ripreso, coccolato o consolato.

Guardo il viso pieno di innocenza, e non posso non pensare al mondo che lo aspetta.

Per il momento, io e il mio simpatico amichetto ci guardiamo con una certa complicità, prima che una serie di strilli isterici possa lasciare le labbra del neonato.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now