Capitolo 17

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Alexander
Quei due non me la raccontano giusta.

È da tutta la sera che confabulano, e la loro apparente amicizia non regge: sono come il diavolo e l'acqua santa, nonostante non mi sia ancora chiaro chi sia l'uno e chi sia l'altro.

Dopo una lunga giornata passata ad abbattere alberi per ricavare della legna per alimentare il fuoco e perlustrare l'area, finalmente posso concedermi un bel bagno caldo.

I miei arti rattrappiti e stanchi si beano del calore che l'acqua lascia sulla mia pelle, mentre cerco di allontanare tutte le preoccupazioni dalla mia mente e dedicarmi a questa fetta di paradiso.

Cerco di muovermi il più cautamente possibile, in modo tale da non provocare un trauma alla mia spalla che è ancora notevolmente indolenzita e mi ostacola il lavoro.

La vita nel rifugio, come lo chiamano i miei ragazzi, è più impegnativa di quanto si possa immaginare, e di quanto d'altronde appaia ai loro stessi occhi innocenti: ogni mattina, prima di predisporre tutto per la colazione comune, esco di casa per vedere se il luogo sia protetto e sicuro, nonostante ultimamente il freddo sia veramente insopportabile.

Successivamente passo un po' di tempo con tutti e do il via alle mansioni di routine, quali manutenzione dell'edificio, sistemazione periodica dei campi adibiti a colture semplici per una sussistenza frugale, ulteriore perlustrazione e pranzo; seguono poi un'altra accurata perlustrazione e la consueta visita alla tomba della mia defunta moglie, della quale però i ragazzi non sanno assolutamente niente.

Quello è un mio piccolo locus amoenus, uno spazio vicino al rifugio contrassegnato da una serie di pietre che, nella nostra tradizione, superano di gran lunga un qualsiasi mazzo di fiori.

Ne aggiungo una ogni giorno, o per lo meno quelli in cui sono relativamente libero e mi posso permettere di assentarmi, come a dire "io ti ricordo, sei e sarai per sempre impressa nei miei pensieri più dolci".

Infine, arriva l'ora della cena, che al momento è preceduta dall'accensione di un braccio del candelabro.

La sera è un momento conviviale particolarmente piacevole: tutti fanno giochi da tavolo, o per lo meno quelli che trovano in giro per la casa, e io mi rilasso guardandoli giocare.

La notte, al contrario, è il momento più malinconico: loro almeno hanno una compagnia, mentre io invece sono sdraiato in un letto che è troppo grande per poter essere occupato da un anziano solo, riflettendo sulla giornata poco produttiva e il motivo per cui ancora non ho messo fine alla mia vita, con il terrore che da un momento all'altro la casa possa saltare in aria.

***

Li ho lasciati andare.
Già, non ce l'ho fatta a trattenere quei due.

Li ho visti talmente uniti da non avere il coraggio di fermarli, nonostante abbia un brutto presentimento.

Sono usciti di casa con l'intento di andare a fare un'apparente scampagnata, con un cestino di vimini e un semplice cappello.

Sarò anche vecchio, ma mi piace associare la vecchiaia alla saggezza: non sono cieco, e né tanto meno stupido, e la puzza di bugiardi passa sempre sotto l'analisi del mio naso sensibile.

Ho capito le loro intenzioni sin da subito, o per lo meno quelle di Saul: se sapesse ciò che ho fatto, la vergogna di quel ragazzo sarebbe veramente alta e, per quanto possa essermi risentito per la scarsa fiducia che ha riposto in me, non ho avuto il coraggio di confessargli tutte le mie scoperte.

Cosa avrò mai fatto di tanto abominevole?
Ho letto le lettere indirizzate alla sua famiglia, tutte, dalla prima all'ultima, e ho scoperto tante di quelle cose che mi si è accapponata la pelle: il vero nome, il motivo per cui spesso si addentra furtivamente nel bosco con scuse che reggono sempre di meno... tutto.

Sono venuto a conoscenza della sua vera identità qualche giorno fa, prima che quel soldato mi sparasse: lui si era assentato di nuovo, e non ho resistito alla tentazione di curiosare tra le sue cose: sono un vecchio bisbetico e ficcanaso.

Eppure quando mi sono trovato sotto gli occhi quelle pagine di carta scritte alla rinfusa con una calligrafia tondeggiante ed elegante non ho provato il più minimo cenno di pentimento: era lì, la verità su Saul, quella che mi aveva spudoratamente nascosto.

Sentivo la necessità di sapere chi mi fossi messo dentro casa, perché la sua scarsa loquacità e le sue bugie malcelate hanno reso il suo ritratto poco nitido e sbiadito.

Non è beninteso una tattica che ho adottato solo nei suoi confronti: ogni ragazzo del rifugio, o per lo meno chi non si è degnato di ricompensare la mia accoglienza con un minimo di verità, è stato vittima del mio occhio indagatore: Ruth, Zehava, Shimon stesso...

E quando l'ho visto lì, in un altro dei suoi tentativi di trovare il padre, l'ho lasciato andare, perché non sono suo nonno e né tanto meno un amico, sono solo un anziano che cerca di rimanere in vita il più a lungo possibile, nonostante la morte sia inevitabile e vicina, e sarà più sopportabile se affrontata con altre persone, piccole o grandi che siano.

Sono in pensiero, non voglio negarlo, ma Saul in particolar modo, o per meglio dire Uri, è un ragazzo decisamente audace, e non gli sarò mai troppo riconoscente per avermi salvato la vita.

«Alexander, prendi la palla!» mi urla Orly, intenta a giocare con Aaron.

«È ancora debole, piccola, non facciamolo affaticare» le spiega lui, abbassandosi alla sua altezza.

«Hey, mi sento offeso! Ti darò una prova della mia giovinezza!» gli rispondo con finto rimprovero, alzandomi a fatica.

Lei mi passa la palla e io l'afferro, cercando di nascondere la fatica dovuta alla spalla e alle mie braccia malandate.

I due continuano a passarla a me, cercando forse di schernirmi, quando a causa di una presa poco salda faccio rotolare la palla a terra, verso il bosco.

«Vado io» li avviso, muovendomi a fatica verso gli alberi fitti costellati da piccoli cespugli.

Mi abbasso sforzandomi e afferro la palla, ma quando mi rialzo uno scoppio mi fa sobbalzare, ed è a questo punto che tutti i pensieri formulati precedentemente perdono consistenza: nel bosco è esplosa una mina.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now