Capitolo 32

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Mentre ripenso ad Alexander e ai miei piccoli amici, sento il fruscio provocato da una tenda che viene aperta.

La simpatica e laboriosa Anja fa capolino in questa minuscola stanzetta.

«Hey Uri, posso?» mi chiede lei cortesemente.

«Ormai sei entrata...» osservo, assumendo un'aria altezzosa.

Cerco di asciugarmi le lacrime di nascosto, stropicciandomi il volto con le mani, ma lei nota i miei movimenti ed entra completamente.

«Hey, hey, cosa succede?» mi chiede mentre si abbassa alla mia altezza e mi tocca una spalla con fare amorevole.

Mi accarezza lentamente il volto con movimenti regolari e periodici, il che, se da una parte mi mette in imbarazzo e mi fa sentire un piccolo bambino alla ricerca delle coccole della mamma, dall'altra mi fa sentire estremamente rassicurato.

«Niente, soliti pensieri» le rispondo, mettendomi a sedere.

Le prendo la mano tra le mie, e le do un bacio affettuoso.

«In tal caso sarà meglio occupare la mente con altro. Dicono che a stomaco pieno si ragiona meglio» mi dice, mentre si alza ed esce momentaneamente dalla tenda.

Da qui dentro riesco a vedere lievemente i contorni del suo corpo, il suo profilo marcato, e la dolcezza dei suoi movimenti che è rimasta immutata.

Entra nuovamente, questa volta spingendo il solito carrello sul quale sono state disposte le cibarie.

«Oggi la mensa si è superata» osserva, mettendomi in grembo un vassoio con una minestra calda, del pane raffermo e un frutto.

«Non potrò mai sdebitarmi. Qualsiasi mia azione non sarà all'altezza della tua infinita gentilezza» le dico, godendomi il mio pasto.

«Posso?» mi chiede, indicando il mio letto.

Io mi faccio un po' da parte per darle spazio, e lei si sdraia al mio fianco, prendendo dal carrello un panino incartato.

«Ti ho già detto che odio che tu spenda la tua pausa pranzo con me. Dovresti svagarti, respirare dell'aria pura e salubre, eppure continui a sorbirti i miei musi» le dico con la bocca piena.

«L'aria pregna di fumo non è salubre. E comunque, per sentirti meno in colpa, potresti sempre dedicarmi un bel sorriso quando vengo a infastidirti» risponde con sarcasmo.

«Osservazione acuta» replico.

Ci guardiamo, sdraiati su un letto d'ospedale, lei con la bocca sporca di briciole, io con la vecchia maglia ridotta a brandelli degli albori, e facciamo una cosa inaspettata: scoppiamo a ridere.

«Non so se sia più divertente il fatto che siamo conciati così, o il fatto che sembriamo due adulti con qualche disturbo della personalità» fa lei.

«Cosa intendi dire?» le chiedo curioso.

«Guardaci! Io sono una pseudo dottoressa di quindici anni che salva delle vite con il fratello e continua a fantasticare e scherzare, mentre tu sei uno scrittore promettente di sedici anni con un amore sproporzionato verso le coccole. Penso che questo reparto sia sbagliato: devono portarci nel reparto psichiatrico» spiega lei.

Effettivamente le sue osservazioni non fanno una piega.

Tra scherzi, battute ridicole e sorrisi, passiamo agli aggiornamenti quotidiani.

Vivere in un ospedale, isolato dal mondo circostante, può risultare difficile, eppure le notizie fresche riferitemi da Anja rendono il ricovero decisamente più digeribile.

«Probabilmente qualche giorno fa hai sentito vagamente parlare di un nuovo bombardamento. Circolano nell'aria strane voci circa un possibile arrivo degli Inglesi. Non so quanto questi pettegolezzi possano essere veritieri, ma una cosa è certa: se gli Alleati dovessero arrivare, in tal caso dovremmo evacuare l'ospedale» mi dice.

«Capisco. E, parlando d'altro, ci sono novità sui pazienti ebrei? È arrivato qualcun altro?» le chiedo.

Qualche giorno fa abbiamo avuto modo di parlare dei vari feriti che vengono medicati qui, e delle scene cruente alle quali Anja assiste: uomini destabilizzati, anestetizzati e feriti vengono presi con la forza e portati fuori dalla struttura, e non mancano di certo insulti, calci e altre forme vessatorie.

"Rimanere impassibile di fronte ad atti di violenza è qualcosa che non rispetta il mio codice morale, eppure il pensiero che i membri dell'ospedale possano avere ritorsioni mi assale" mi ha confessato qualche giorno fa, dopo avermi parlato di un signore anziano ebreo che, dopo la perdita di un arto causata da una mina vagante, si è beccato un braccio rotto per gli strattoni e i colpi di un Tedesco.

Un ragazzino troppo loquace e ingenuo, invece, non riuscendo a mantenere nascosta la propria identità, ha rivelato il Paese di provenienza: il colpo inferto dal calcio del fucile è stato fatale.

«Le provviste inviate dai paesi vicini e dalla Francia meridionale sono sempre più scarse, a causa, in particolar modo, delle terribili raffiche di vento e delle gelate che hanno reso gli spostamenti pressoché impossibili» mi spiega.

«Tutto questo a causa di un unico individuo. Quanto potere può avere una persona per sconvolgere un intero globo?» mi chiedo.

«Abbastanza da essere venerata dai cittadini più conservatori. Se, però, c'è una cosa che mia madre mi ha sempre insegnato, è che c'è un dittatore laddove vi sono delle condizioni propizie e delle persone che cercano una guida. La colpa è nostra, di noi Tedeschi che abbiamo preso in considerazione il suo nome durante le votazioni, che ci siamo ribellati a qualsiasi forma di opposizione, e che non abbiamo dato una risposta alla debolezza dello Stato. Ricorda, Uri, che un capo fa un'analisi critica, e si insedia lì dove il popolo, stremato e disorientato, non governa in maniera efficiente la regione. La democrazia non ha entusiasmato il popolo. Tutti volevano una guida. Ora ce l'hanno» spiega.

«Il tuo ragionamento è infinitamente saggio. Tuo padre, invece? Cosa ne pensa? Non lo nomini mai» le dico.

«Preferisco non toccare questo tasto dolente. Cosa abbiamo detto? Niente musi. Siamo passati dal nostro aspetto trascurato a fare osservazioni filosofiche. Siamo proprio grandi» osserva.

«Già, due adolescenti nel pieno della loro crisi esistenziale. Ora però basta parlare di politica. Dimmi, cosa ti piace fare oltre alla superflua e scontata mansione del dottore?» le chiedo scherzosamente.

«Salvare le vite mi dà una noia tale da spingermi a fare lunghi giri in bicicletta. So che è pericoloso, ma dovrò pur tenermi occupata in quache modo! All'ospedale non c'è mai nulla da fare» replica lei, stando al gioco.

«Sei una forza della natura» mi dico, guardandola con un sorriso stupido.

Sì, sono proprio cotto.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now