Capitolo 59

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Oggi abbiamo perso il primo passeggero.

Il cuore mi si stringe mentre vedo il marito della signora che tiene il corpo tra le sue braccia, e il desiderio di sparire da questo treno si fa sempre più vivo.

Da quanti giorni siamo in viaggio? Non lo so, so solo che quando le mie labbra sono entrate in contatto con quella barra di cioccolato, il mio stomaco ha fatto delle capriole per il piacere.

Continua a dondolarla, bagnando i suoi capelli con le sue lacrime, mentre i bimbi piangono per l'angoscia.

«Yoshi, calmati» dice un padre al  figlio, tenendolo in braccio e facendo sì che la signora esca dal suo campo visivo.

«Povera donna, che Dio l'abbia in gloria» mi dice Sarah, che come me non fa altro che fissare la scena con rassegnazione.

«Io ormai nella grazia divina ci credo ben poco» rispondo, torturandomi le dita e i capelli.

La donna ha lasciato la comunità del vagone da poche ore, e non sappiamo se il suo corpo avrà una degna sepoltura.

Quella è la coppia delle fedi, quella che le SS hanno già torturato a sufficienza sottraendo il simbolo del loro amore coniugale.

Penso che il cibo fosse troppo razionato e l'acqua altrettanto preziosa, fatto sta che alle prime luci dell'alba il suo corpo è caduto all'improvviso, adagiandosi sul pavimento.

«Non voglio fare la sua fine Uri. Non voglio proprio...» ammette Sarah, e io continuo a farla parlare, sentendo che ha bisogno di sfogarsi.

«Guardala. Così debole, così fragile, così rigida e così sconfitta. Il pallore della morte ha investito tutto quel viso emaciato. Il marito dovrebbe godersi la vecchiaia a casa, e lei dovrebbe passare il tempo a cucire, rammendare e interessarsi ai progressi dei figli. Dovrebbero mostrare le loro preziose fedi con orgoglio, e lei dovrebbe poter avere il diritto di nutrirsi e dissetarsi.
Eppure guardala. La morte l'ha raggiunta repentinamente, senza che né lei, né il marito potessero elaborare il lutto, e il suo corpo non reagisce sotto gli abbracci del marito» conclude Sarah, chiudendo gli occhi mentre espone i suoi pensieri.

Non trovo le forze per rispondere, ma la vista della sua veste orlata di rose disegnate adagiata a terra, lo scialle abbandonato sul collo e le scarpe rosse adagiate sul pavimento le conferiscono l'immagine di una bambola in porcellana che cerca le attenzioni del suo proprietario.

Non so da quanti giorni stiamo viaggiando, so solo che stare sdraiato qui al freddo e passare le giornate senza avere un'occupazione è insopportabile.

Sami a volte spezza il silenzio con le sue preghiere, ma sorprendentemente nessuno sembra in vena di pregare.

Lui, dal canto suo, non insiste: sa che i tempi sono duri, e d'altro canto un tentennamento fortifica la fede.

Guardo fuori dalle finestre, e noto che il paesaggio si è fatto decisamente più innevato.

Fuori, i prati sono coperti da un candido velo bianco, mentre il cielo è cupo, e presagisce un'altra bella nevicata.

L'assenza del sole rende le temperature ancora più basse, mentre le nuvole lasciano l'amaro in bocca.

Mi rimetto a sedere, tentando disperatamente di trovare qualcosa da fare.

A terra, l'incarto del cibo rende l'ambiente ancora più sporco, costringendomi a ritirarmi nell'angolino che ho tenuto caldo con la mia persona.

Guardo le mie mani, ma non mi passa per la mente nessun gioco, così tento di riposarmi, ma il pianto del signore si insinua nelle mie orecchie con una prepotenza tale da tenermi sveglio.

«Uri, cerca di riposarti. Ne hai bisogno» mi dice Sarah, ma do poco peso alle sue parole, e quasi arrivo a ignorarla.

Ma Sarah non dà molto importanza alla mia noncuranza, perché nel frattempo problemi ben più gravi la distraggono.

Mentre io rimango seduto al mio posto, lei si alza dopo ore passate al mio fianco, barcollando.

Non appena la vedo in queste condizioni, subito mi preoccupo, e mi metto più dritto.

Tenta di raggiungere Malka, facendosi spazio tra gli altri passeggeri, e la mamma, non appena la vede in queste condizioni, la raggiunge, prendendo il suo volto tra le sue mani.

Non riesco a sentire la loro conversazione, ma noto che Sarah indica un punto al mio fianco.

Intercetto la direzione del suo sguardo, e mi volto verso il posto che fino a poco fa era occupato da lei.

Vedo che sul pavimento c'è un po' di sangue, e non ci metto molto per capire che il termine più appropriato in questo momento per descrivere la mia giovane amica è Niddah*.

Mentre lei piange, la mamma la consola, tentando di trovare una soluzione.

In breve tempo, molti passeggeri vengono a conoscenza della situazione, e tentano di darle giacche affinché possa coprirsi e coprire la macchia.

Io mi aggiungo a loro, alzandomi dolorante e avvicinandomi a lei.

«Tieni, Sarah, metti questa attorno alla tua vita» le dico, porgendole il mio giaccone: su questo treno il caldo non la fa da padrone, ma potrò sopportare gli spifferi.

Lei mi ringrazia, abbassando il capo e prendendo la giacca.

«Sarah, tesoro, non c'è nulla di cui vergognarsi» la consola Malka, tenendola stretta a sé.

Io le metto una mano sulla spalla, e, dopo aver pulito alla bell'e meglio il pavimento, ci sediamo tutti e tre.

L'odore di urina e di sporcizia, ora, è ingestibile: abbiamo bottigliette in comune che svuotiamo dalla finestra, ma per le donne la situazione non è tanto semplice.

Qui tutti ormai soffrono per la fame e la sete: la riserva di acqua è ormai terminata, e dobbiamo sperare che alla prossima stazione ci sia concesso di scendere.

I neonati chiedono intanto alle mamme quel latte che esse non sono in grado di dargli, e tutti temono che, se la situazione degenererà, la donna delle fedi non sarà l'unica vittima del vagone.

«Come ti senti?» chiedo a Sarah, guardandola.

I suoi occhi sono attraversati da venuzze rosso fuoco che contornano una stupenda iride marrone, mentre la fronte imperlata di sudore e le profonde occhiaie suggeriscono che le sue condizioni non siano delle migliori.

«In questo momento voglio solo morire» mi dice, toccandosi la pancia per il dolore.

La abbraccio, poggiando la testa contro la sua, e lo stesso fa anche Malka.

«E io insieme a te» le confesso all'orecchio, dandole un bacio sulla guancia e sperando che i dolori lascino i nostri esili corpi.

*termine ebraico per definire le donne durante le mestruazioni.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now