Capitolo 61

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SETTIMANA DELLA MEMORIA
Frase del giorno: le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, non aveva nulla né di demoniaco e né di mostruoso. 
(Hannah Arendt)

«Sarah, tieniti a me» le dico, tenendo stretta la sua mano.

Vedo che la folla si muove in maniera frenetica, mentre Sarah cerca disperatamente di non lasciarmi.

Attaccata a lei c'è Malka, che dopo poco viene spintonata dalla folla.

«Mamma!» strilla Sarah, girandosi, e dopo poco veniamo raggiunti da Malka che copre il suo volto di baci.

«Non spingete! Fate piano!» continuo a strillare, sentendo mani e corpi che fanno pressione sulla mia schiena dolorante.

«Uri, stai bene?» mi chiede Sarah, e io le sorrido, pensando a quanto in questo momento debba essere grande l'imbarazzo: ha il mio cappotto attorno al bacino, e a malapena si regge in piedi per il dolore.

«Tu, vai di qua!» mi ordina una SS, staccandomi da Sarah.

«Uri!» strillano Sarah e Malka, ma prima che il soldato continui a spingermi e ad allontanarmi dalle mie accompagnatrici mi incammino di mia spontanea volontà.

Le guardo mentre vengono spinte insieme agli altri, e qualche lacrima inizia a rigarmi il volto.

«Ma dove diamine siamo?» strilla un signore, guardandosi intorno.

Lo seguo, e noto la bruttezza di questo posto in mezzo al nulla: ci sono pochi alberi, molti sono coperti di neve, e dopo i binari si vede una strana torre circondata da filo spinato.

Seguo la folla di gente, e in molti si accalcano di fronte un edificio alto e di color rosso scuro.

La fila scorre con lentezza, ma riesco a entrare.

In poco tempo, vengo messo di peso su una sedia e, senza che io possa oppormi, vengo rasato: i miei capelli castani, che in quest'ultimo periodo si erano notevolmente allungati, cadono sulle mie spalle e a terra in piccole ciocche.

In poco tempo, un tatuaggio viene riportato sul mio braccio destro, creandomi un fastidioso bruciore.

Cerco di ribellarmi, ma vengo perquisito, privato dei miei vestiti e controllato.

«Piano!» piagnucolo, mentre una SS mi toglie gli strati di vestiti dal corpo e li esamina, non lasciando nessuna tasca intatta.

Le mie lamentele non vengono ascoltate, e vengo costretto a mettere una divisa.

Ha le righe nere e bianche, è leggera e sporca.

«Dammi i miei vestiti!» mi oppongo, pensando a tutti gli sforzi per camminare con strati di vestiti che non entravano nella mia valigia.

Nello stesso momento in cui formulo questi pensieri, la mia mente è attraversata da un'altra osservazione.

«Dov'è la mia valigia?» chiedo, mentre la SS continua a controllare indisturbato i miei abiti.

«Sono Uri Almeda! La valigia è riconoscibile. Ho scritto il nome come mi era stato richiesto. L'ho lasciata nel cumulo. Posso andare a cercarla?» insisto, ma il soldato fa un sorrisetto e mi ignora.

«Maledizione!» protesto, mentre indosso questo orrendo completo che per giunta mi sta grande: le maniche coprono le mie mani, e i pantaloni fanno lo stesso con i piedi.

Incrocio le braccia, cercando di riscaldarmi, ma tutti i miei tentativi sono vani.

Mentre gli altri uomini si vestono, io mi guardo intorno: tutti sono nelle mie condizioni, alcuni vengono lasciati nudi prima che le loro divise vengano portate, altri vengono controllati.

Prima che io possa fare un qualsiasi movimento, la SS è sostituita da un medico, che inizia a controllarmi malamente.

Tenta di controllare la mia bocca, ma io la tengo chiusa, a mo di capriccio.

«Non fare lo sciocco e apri la bocca» insiste il dottore, ma io mi oppongo con tutte le mie forze, guardandolo con disprezzo.

«Tranquillo, gliela faccio aprire io» interviene la SS di prima, dandomi un pesante schiaffo: il colpo è di una forza tale da farmi barcollare, ma riesco a mantenere un certo contegno.

A questo punto non posso fare altro che collaborare: tutto di me viene controllato, anche la postura e il fisico.

«Monowitz» proclama il dottore, allontanandosi da me.

Il soldato mi strattona, e prima che possa chiedermi cos'altro mi verrà fatto, la sensazione di essere stato privato dei miei abiti, dei miei affetti, della mia dignità e dei miei capelli mi getta in uno stato di disperazione.

In mezzo al sospiro del ventoTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon