Capitolo 30

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«Ascoltami, adesso tu verrai con me dietro quella stradina» mi dice Anja, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno ci stia guardando.

Mi porta in un vicolo buio e poco ospitale, dove ancora non c'è l'ombra dei soldati.

«Adesso devi toglierti il cappotto e la maglia» mi dice la ragazza.

«Ma qui fa freddo! Cosa diamine hai intenzione di fare?» le rispondo, stringendomi nel mio indumento.

«Devi fidarti di me, Uri. Ho un po' di esperienza, non credi?» mi chiede retoricamente.

«Beh, spero che ne valga la pena. Non vorrei morire di ipotermia» le dico, iniziando a spogliarmi.

«Vedo che capisci qualcosa di medicina. Da dove viene tutto questo sapere?» mi chiede Anja, voltandosi imbarazzata per evitare di guardarmi mentre mi tolgo la maglietta.

«Hai presente quando la noia non sa proprio lasciarti stare?» le chiedo.

La vedo annuire, e penso a quanto sia ancor più bella vista di profilo.

È un paradosso: guardo quei lineamenti, e non provo timore; guardo quegli occhi, e non mi sento messo in gabbia; guardo quelle labbra, e noto che non pronunciano mai parole cattive, neanche quando questa ragazza si spazientisce per la mia tracotanza.

«Beh, in quel momento i libri che sei riuscito a raccattare da qualche parte, anche i più pesanti e articolati, diventano una fonte preziosa» le spiego.

«Hey, ma cosa fai?» le chiedo, vedendo con quanta forza e ostinazione cerchi di strappare la mia maglia.

Lei non mi risponde e, anzi, continua tranquillamente a fare a brandelli la mia maglia.

Tento di frenarla, ma lei mi scosta con prepotenza, senza neanche degnarmi di uno sguardo.

Ti prego, fammi riperdere in queste tue pozze blu, penso.

Sono diventato troppo sentimentale, devo fissare nuovamente i miei obiettivi.

«Avvicinati» mi dice Anja, mettendo da parte quello straccio che un tempo era il mio indumento.

Lei si sistema, si mette più comoda, piegandosi sulle gambe.

Mi guarda negli occhi.

Vedo che anche lei sta tentando di non deconcentrarsi, e tenta di non fissare lo sguardo sul mio esile busto denudato, nonostante la mancanza di carne e la forma distinta delle ossa non siano poi così allettanti.

«Ti sei incantata?» le chiedo con arroganza, piegandomi per raggiungere la sua stessa posizione.

Lei mi dà uno schiaffo sul petto che mi fa perdere l'equilibrio, facendomi cadere con la nuca a terra e il sedere in aria.

«Diamine, Anja, mi hai fatto male! Avrei potuto avere danni seri!» mi lamento, esagerando: il tocco della sua mano ha riscaldato il mio cuore intorpidito.

«Tanto meglio» ribatte lei, evidentemente soddisfatta per il suo lavoro.

«Un ricoverato "integro" e sano sarebbe poco credibile» aggiunge, guardandosi intorno e mettendo le mani per terra e sulle pareti.

«Cosa intendi esattamente per "paziente"? Che intenzioni hai, matta?» le chiedo, rimanendo sdraiato.

«Questa "matta" a cui ti stai rivolgendo sta cercando di salvarti. Se la mia instabilità mentale non ti garba posso anche darti in pasto ai miei compatrioti. E adesso avvicinati» mi dice, allungando la mano per farmi mettere a sedere, aspettando che io la afferri.

Non era mia intenzione offenderla, ma odio non essere messo al corrente delle sue intenzioni.

Mi metto a sedere, e avvicino il mio volto al suo.

Vedo che lei sta facendo la stessa cosa.

Non capisco cosa voglia fare ma, qualunque cosa sia, so già che mi piacerà.

Penso questo fino a quando lei, senza nessun preavviso, mi dà uno schiaffo.

È un colpo ben assestato, che mi lascia un forte bruciore sullo zigomo.

«Perché?» le chiedo, alzandomi e toccando il punto dolente.

«Fammi vedere se è abbastanza rossa» mi dice, esaminando il mio viso come un campione da laboratorio.

Lo gira da sinistra a destra, e continua imperturbabile, ignorando le mie lamentele.

Esasperata dai miei capricci si ferma, mi guarda con sguardo amorevole e comprensivo e... mi dà uno schiaffo dalla parte che non era stata interessata.

«Mi spieghi cosa ti passa per la testa?» le dico.

«Zitto, vuoi che qualcuno ci senta?» mi chiede lei.

Mi prende il viso tra le mani, e inizia a riempirlo di polveri prese in giro da qualche cornicione staccatosi dalle fondamenta.

Guarda il risultato con soddisfazione, e mi scompiglia i capelli con fare amorevole.

«Perfetto, adesso sei un perfetto esempio di ragazzino trovato tra le macerie. Puoi rimetterti la maglia» mi dice.

Io la guardo confuso, in preda al panico.

«Sei impazzita? Mi stai dicendo che devo entrare in quell'ospedale pieno di Tedeschi con una maglia sbrandellata e un volto rosso e sporco facendo finta di essere stato raccattato qui in giro? Pensi che sia credibile? Il sangue? I segni di contusione?» le chiedo, dimenandomi come un forsennato.

«Se vuoi posso strapazzarti più di quanto non abbia già fatto. E comunque l'ho fatto solo per ingannare mio fratello, o chiunque mi aiuterà a portarti dentro: per il resto, i soldati sono troppo sofferenti per poter pensare ad un nuovo arrivato di dubbia origine. Ti porterò in una stanza al piano superiore per i casi più urgenti, e lì passerò quando posso, ti porterò del cibo e ti farò compagnia» mi spiega, continuando a sussurrare per evitare di essere sentita da qualcuno.

Non mi permette di ribattere, o per lo meno di ringraziarla, che mi fa sdraiare, mi fa posizionare vicino alle macerie di prima e mi chiude gli occhi.

Sento il cuore che batte forte nel mio petto per l'agitazione, quasi ad uscire dalla gabbia toracica.

«Lorence, aiutami! C'è un ragazzo qui, l'ho trovato durante la mia pausa. Era sotto quel cumulo di macerie. L'ho sistemato alla bell'è meglio, ma non riprende conoscenza! Aiutami a portarlo dentro!» grida Anja.

La sento da lontano, mentre arriva trafelata da me.

Il ragazzo mette due dita sotto il mio collo, e lo sento avvicinarsi.

«Il battito è regolare, ma dobbiamo portarlo dentro. Prendilo per le gambe, ma fai attenzione: potrebbe avere qualche trauma interno» dice lui.

Quasi tremo mentre mi sento sollevato, e i miei accompagnatori si dirigono verso l'ospedale.

Vengo posizionato su una barella, mentre ascolto i lamenti di uomini che, nella stanza, continuano a soffrire.

Non provo compassione.

Sento a lungo questo vociare, fino a quando non vengo portato in una stanza e posizionato su un comodo letto fresco e pulito.

«Lorence, me ne occupo io. Tu vai, ti faccio sapere. Hai bisogno di una pausa, guarda che volto emaciato» dice Anja al ragazzo, con tono scherzoso.

Dopo essersi assicurata che siamo soli, la ragazza avvicina le sue labbra al mio orecchio, e sussurra lievemente: «visto? Non hai sentito freddo lì fuori.»

Esce, e io porto la mano alla guancia: questa volta la sua mano violenta è stata sostituita dalle sue labbra carnose.

In mezzo al sospiro del ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora