Capitolo 2

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Questa notte, dopo giorni di corse, letti improvvisati e spifferi d'aria, posso finalmente dire di aver dormito decentemente.

Dopo essere entrati nell'edificio, il signore mi ha condotto verso una rimessa al cui centro aveva arrangiato un piccolo letto con delle lenzuola umide e un cuscino logoro, sempre meglio però dei cumuli di paglia e delle semplici radici degli alberi.

Le insegnanti della mia vecchia scuola tedesca mi hanno sempre detto che dormire vicino ad una pianta la notte può essere nocivo in quanto, in base al processo di fotosintesi, emette anidride carbonica, ma in certe situazioni l'istinto prevale sulla ragione e la conoscenza.

Ho scoperto che si chiama Alexander, il signore anziano dall'aria trasandata, intendo.
Ho lasciato più volte in sospeso una frase per scoprire come si chiamasse fino a quando non gliel'ho chiesto direttamente. La sua risposta, testuali parole, è stata "perché non me l'hai chiesto prima, giovanotto?".

Il suo nome nella mia lingua vuol dire "protettore", e penso che i suoi genitori non potessero scegliere nome più azzeccato.
Per quanto possa apparire distratto, curioso, eccentrico, bizzarro e insolito, gli devo molto, e non gli sarò mai riconoscente abbastanza: dopo insulti, fughe e delusioni, finalmente ho trovato qualcuno che condivida il mio spirito patriottico.

Mi giro supino e intreccio le dita ossute delle mie mani sotto la nuca, prendendo in considerazione un punto qualsiasi del soffitto.
Le piccole finestre, per qualche strana ragione, sono coperte da assi di legno, ma riesco comunque a intravedere qualche raggio di sole.

Mi ritorna in mente Alexander, e il suo desiderio di ritrovare Bar. Non abbiamo di certo legato, ma spero che sia ritornato stanotte.

Mi alzo in piedi e mi stiracchio, facendo scrocchiare le nocche.
Il mio stomaco brontola, penso, ma fortunatamente il signore avrà preparato qualcosa da mangiare.

Non do niente per scontato, sia chiaro, ma il fatto che dia riparo ad altri undici ragazzi soli e denutriti mi fa ben sperare.

Noto su un tavolo accanto al letto dei vestiti ripiegati. Li prendo in mano e li esamino.
Il tessuto è ruvido, ma la taglia è giusta, e non c'è nessun buco, nessuna toppa, solo quella stella, quei due triangoli fusi in una sola forma distintiva.

Mi tolgo i miei abiti e rimango in mutande.
Questo senso di libertà mi trasmette un'insolita eccitazione, tanto che inizio a dimenarmi e a saltare sul letto.
Ora che sono al sicuro, che ho un tetto sopra la testa e una vita davanti sento di poter fare qualsiasi cosa.

La mia spensieratezza viene interrotta da un soffuso vociare che proviene proprio dalla porta.
Mi giro lentamente, e sobbalzo alla vista di una massa indefinita di teste che fanno capolino dallo stipite.

«Ma cosa sta facendo?» chiede uno.
«Non lo so, ma sembra folle» risponde un altro.
«Non ha un briciolo di pudore» continua il primo.
«Ma quanto è magro, da quanto tempo non mangia?» chiede questa volta una ragazza.

Mi guardo i piedi, e mi ricordo di avere un solo misero indumento.
Scendo giù dal letto e mi vesto alla rinfusa.
Probabilmente ho messo la maglia all'incontrario.
Meglio così, mi dico, la stella sarà meno evidente.

Mi giro, e li ritrovo ancora nella stessa posizione di prima.
Quando notano che ho gli occhi puntati su di loro tentano di scappare, ma li rincorro e apro definitivamente la porta della rimessa.
«Guardate che vi ho visti» esclamo.

«Chi, noi?» chiede lo stesso ragazzo che precedentemente aveva aperto la conversazione.
Sembra il capogruppo, il ragazzo più spavaldo e incontrastato, ma sotto sotto qualche tallone d'Achille ce l'ha, insomma, se si trova qui ci sarà qualche motivo!

In mezzo al sospiro del ventoOnde histórias criam vida. Descubra agora