Capitolo 54

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Malka guarda nel vuoto, mentre Sarah tenta disperatamente di sorreggermi.

Tento di mettermi a sedere con tutte le mie forze, ma ahimé si rivela un'ardua impresa, e non posso fare nient'altro che rimanere disteso, mentre i dossi e le buche mi fanno costantemente urlare per il dolore.

Sami prega: il suo è un movimento disperato, che infrange le leggi del tempo e dello spazio, e alza la voce quanto basta affinché tutti si lascino trasportare dalla sua instancabile fede.

Invidio tutto: la sua capacità di dare poco peso alla situazione quando non sappiamo quale sia la destinazione, la sua positività, ma anche il suo altruismo.

«Mamma, quanto manca?» chiede un bambino che fino ad ora non avevo notato, immerso com'era nella penombra e nel più candido dei sogni, e che non aveva protestato per le mie lamentele.

«Non lo so, non mancherà tanto. Tu continua a dormire, ti sveglierò io» risponde la madre, la stessa donna che si è preoccupata della mia situazione.

Inevitabilmente penso a mia madre: dove sarà, come starà, anche lei sarà salita su questa sottospecie di camion?

Mi guardo attorno, e mi accorgo del fatto che qui ci sono più persone di quanto pensassi: su per giù siamo una ventina, e nessuno osa aprire una conversazione.

Sarah continua a tenermi.

Si siede più comoda, appoggia la schiena alle pareti del camion e piega le gambe, così che io possa abbandonarmi alle sue premure.

Tento di evitare di far coincidere il punto dolente con le sue ginocchia, e trattengo un altro strillo.

Mi accarezza i capelli, mentre sento che il suo corpo si muove in maniera irregolare.

Mi volto, e intravedo piccole lacrime che luccicano sul suo volto pallido.

«Sarah, vuoi dirmi cosa ti prende?» le chiedo.

Malka è in uno stato catatonico, e i sussurri degli altri passeggeri mascherano la nostra conversazione.

«Non voglio parlarne» risponde, continuando a passare le sue dita tra i miei capelli.

Devo rigirarmi per il dolore insopportabile, maledicendomi perché vorrei tanto mantenere un contatto con lei.

Tutti gli altri passeggeri continuano a parlare indisturbati lungo il perimetro, e Sami, che deve aver concluso la sua preghiera pomeridiana, si rivolge ora al bambino che poco prima aveva chiesto informazioni alla mamma sulla durata del viaggio.

«Ti prego, Sarah. Ho bisogno che tu ti apra con me. Dobbiamo essere più uniti che mai» insisto.

Lei ha un'esitazione, poi sospira e continua a sistemarsi con agitazione.

«È un insieme di cose, Uri. Partiamo dal fatto che ci siamo dovute separare da Michael» mi spiega Sarah sconsolata.

«Dov'è ora?» le chiedo, voltando di poco il capo.

Lei si avvicina ancora di più, e sussurra nel mio orecchio: «dal balcone anteriore della camera lo abbiamo mandato nell'appartamento accanto al nostro. Una donna, nonostante fosse molto sofisticata, ha sentito i colpi che tiravamo alla balaustra per attirarne l'attenzione e lo ha accolto tra le sue braccia. Sembrava materna. Spero solo che non fosse una trappola.»

Sospiro e rilasso la schiena, mentre interrompe le carezze che mi stava dedicando. Sento che in parte quei dolori che scendevano giù lungo la mia colonna vertebrale si sono attenuati.

«E poi?» insisto. So che c'è altro, e voglio che si lasci andare completamente.

Torna a sussurrare vicino al mio orecchio. Il suo respiro provoca un leggero senso di solletico sul mio collo che mi fa alzare automaticamente le spalle.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now