Capitolo 51

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Ci sono attimi che determinano la nostra vita in una maniera scandalosa.

Ho vissuto per mesi nella più completa convinzione di avercela fatta, di essere riuscito a ingannarli, eppure tutte le mie certezze stanno crollando con celerità.

«Uri, cosa facciamo?» mi chiede Sarah, mentre un altro tonfo ci fa sobbalzare.

A rendere il clima ancora più ingestibile c'è il pianto di Michael che si strazia per la paura.

Lo guardo velocemente, e mi si stringe il cuore nel vederlo così, rannicchiato con i suoi radi capelli neri, mentre tenta di nascondersi nel seno materno e di farsi allattare.

La sua manina si muove in maniera convulsa, cercando forse il dito indice di Sarah, che non tarda ad arrivare.

«Fai piano, piccolo mio. Non ti preoccupare, sono qui» dice la sorella, che gli accarezza dolcemente la nuca.

Io, dal canto mio, trattengo Amos, che non sembra molto più calmo di Michael.

«Uri, cosa succede?» mi chiede, stringendomi la mano.

Vorrei dirgli che è solo Anja che, per l'esultazione e la foga del momento, vuole dirci che la guerra è finita, che Hitler è morto, che gli Alleati ci hanno liberato da questo macigno, ma i suoni sono troppo forti, e le frasi offensive e insistenti, di certo, non lasciano spazio a interpretazioni.

«Malka, vai in camera con i ragazzi» le dico.

Lei cerca di opporre resistenza, ma io sono più convinto che mai.

Mentre i suoni sembrano essersi momentaneamente placati, Michael si tranquillizza, ma dei rumori ancora più acuti dei precedenti convincono Malka ad allontanarsi dalla fonte.

Mi accorgo che Amos continua a tenermi stretto a sé, ma io non posso consentirgli di farsi del male per una situazione in cui sono stato io a cacciarlo.

«Amos, stanno cercando di aprire la porta a spallate, o più probabilmente con il calcio del fucile. Io starò bene, te lo prometto! Parlerò con loro e risolverò la situazione!» gli spiego, asciugando le lacrime che copiose scendono lungo le sue guance arrossate.

Mi dico che non farà la fine di Shimon, Aaron, Yona, Zen o Zeev, che instancabilmente, come quando ho convinto mia madre a farlo uscire dal ghetto, lo difenderò.

Lui si convince, lascia la mia mano, e corre dagli altri.

Mi guardo intorno: il soggiorno è insolitamente spoglio, le tende sono sempre tirate, i vasi sono assolutamente al loro posto, e forse anche la lettera di Anja che ho gelosamente lasciato nel comodino.

«Avanti, è solo un normale controllo di routine!» esclama sghignazzando uno, e un colpo in più basta per sfondare la porta.

Non so cosa aspettarmi, so solo che il terrore che possano fare qualcosa ai miei cari mi terrorizza.

Avanti, Saul, dove sei? mi chiedo, cercando di raccogliere le mie energie.

In questo mio attimo di debolezza, la figura di due marionette, con i fucili puntati, mi fa sentire come quel ragazzo che, chiuso in un camioncino pieno di immondizia e mangime, cercava disperatamente una via di salvezza.

Ora sono quel ragazzo che viveva nel ghetto, e ogni sera pregava che il mostro non entrasse nella sua piccola abitazione per fare del male alla sua mamma, e passava le notti nell'insonnia.

Ora sono nei panni di Zehava, quello stesso ragazzo che mi ha salvato nel momento in cui il mio senso di disorientamento rischiava di trascinarmi in un vortice di insicurezza e timore.

Ora sono nei panni di Aaron, quel ragazzo apparentemente forte che nascondeva costantemente le proprie tendenze.

Sono Zen, Alexander, Zeev e Aaron concentrati in un'unica persona.

A questo punto mi chiedo cosa farebbero loro al mio posto, considerando che non mi sono mai sentito così impotente prima d'ora.

Mentre il Tedesco chiede che io confermi le generalità che qualcuno gli ha messo a disposizione, io torno virtualmente parlando al rifugio.

Cammino nel bosco, e questo non mi è mai parso tanto rassicurante.

«Uri, vieni qui!» mi fa segno Alexander da lontano.

Scuote la sua mano freneticamente, mentre tutti gli orfanelli si alzano dal tavolo su cui stanno mangiando: non li ho mai visti tanto spensierati e noncuranti.

«Sei sempre un combinaguai!» mi dice Orly scherzosamente venendomi incontro.

Alexander mi prende da parte, mentre nello sfondo Zen ha preso il mio posto per giocare a dama con Shimon.

«Uri, tutti questi avvenimenti mi stanno mettendo apprensione. Limitati a rispondere con sincerità. Non farteli nemici, non mentire come hai fatto con noi. Sai ormai come funziona: la sincerità è sempre lo strumento più affidabile» mi dice.

Vorrei dirgli che solo il denaro, per loro, è un mezzo convincente, ma la sua figura diventa sempre più rarefatta, fino a perdere consistenza.

Mi ero ripromesso di lasciarmi il passato alle spalle, ma solo il ricordo degli errori commessi in precedenza e di ciò che ho perso potranno aiutarmi a gestire questa situazione.

È così che, mentre la marionetta elenca le mie informazioni personali, non posso fare altro che annuire.

Il suo compagno, intanto, attraversa il corridoio, e dopo poco sentiamo la sua voce fastidiosa ed eccessivamente rauca dalla parte opposta dell'abitazione.

«C'è qualcuno! Ci sono altri bastardi qui! Forse la ragazza possiamo tenercela!» scherza mentre torna, trascinando per il gomito Sarah.

«Non toccarla!» strillo, mentre lei trema dalla radice dei capelli fino alla punta dei piedi.

Non mi serve ingegnarmi troppo per capire cosa abbia: il ricordo di ciò che ha subito nel bordello è ancora fresco, e quelle mani viscide non fanno altro che accarezzarle l'avambraccio.

Mentre cerco di raggiungerla, il collega che mi stava precedentemente trattenendo mi blocca e mi colpisce all'altezza dello zigomo.

Impotente, mi porto la mano sulla guancia.

Avrei di gran lunga preferito continuare a mentire, ma sarebbe stato umiliante farmi beccare per via del fatto che sono stato circonciso.

Un terzo soldato, che aveva partecipato probabilmente a questa "cordiale visita", entra nella casa, mentre Sarah riesce a sottrarsi alla presa del soldato e a rifugiarsi tra le braccia della madre.

Noto con sorpresa che Michael non è tra di loro, ma Malka, avendo intuito il mio pensiero, mi ammonisce con lo sguardo.

«Sergente, abbiamo trovato questi bugiardi nascosti nella sua casa» dice uno dei due, e in una frazione di secondo capisco come le mie generalità siano tornate alle orecchie delle marionette.

«Uri, caro, non si fanno queste cose. Anne non te l'ha insegnato?» mi chiede, e io chiudo gli occhi, pieno di furore, mentre la sua voce risuona nelle mie orecchie.

«E fatti vedere quando ti parlo!» strilla d'improvviso, facendomi voltare.

Mi guarda dall'alto in basso con un sorrisetto, alzandomi il volto per ispezionarmi.

«Mi chiedo cosa abbia notato in te quella ribelle di mia figlia. Sei più magro e bruttino di quanto ricordassi. E per giunta ti sei anche messo a rubare case!» mi sussurra nell'orecchio per evitare di sfigurare davanti ai suoi soldatini di latta e burro.

«Non c'è bisogno di dirvi cosa meritano dei cani come voi. Prendete i vostri averi, specie oggetti di valore. Anelli, gioielli, contanti e stoffe: tutto quello che avete può farvi comodo. Non serve cibo, ce n'è in abbondanza nella vostra destinazione. Faremo un bel viaggio insieme, per ringraziarvi del bel lavoro di bricolage che avete fatto nella mia casa» conclude, ridendo insieme ai suoi sgherri.

Mi chiedo dove ci porteranno.

Quel che è certo è che ho esaurito i jolly: lì non ci sarà nessun Alexander, Anja o Malka.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now