Capitolo 70

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27 gennaio 1945

C'è un senso di preoccupazione e attesa nel campo.

Nessuno sa cosa stia per succedere, ma io preferisco continuare a crogiolarmi tra le coperte.

Un odore acre mi attraversa le narici: è odore di liquami, di fango denso e di lerciume.

Quando piove o nevica, tutto il terriccio si addensa, sporcandomi il pigiama.

Anche a Monowitz si creava la stessa situazione, ma per lo meno io dormivo sui letti più alti, quindi non ero interessato.

Ora che mi hanno messo a dormire con altri quattro uomini qua sotto, invece, comprendo quanto la vita dei maiali chiusi nei loro porcili debba essere insopportabilmente disgustosa.

Scene raccapriccianti mi tengono sveglio da quando sono arrivato ad Auschwitz: c'è la coppia delle fedi del treno, il fuggitivo paralizzato dalla corrente elettrica, Friedrich, che perde sangue.

E se ripenso poi al cibo che ci veniva offerto nell'altro campo, non posso fare altro che rammaricarmi della mia sfortuna: quello, in confronto all'attuale pasto, era una vera leccornia.

Negli ultimi giorni, invece, non abbiamo ricevuto neanche un pezzo di pane.

Tutti sentono nell'aria un odore di novità e freschezza, ma io continuo a sentire solo i liquami che scorrono indisturbati sulle nostre coperte.

Non ho legato con nessuno qua dentro: tutti sono più afflitti che mai, alcuni escono la mattina e non rientrano la sera, e d'altro canto non ho più voglia di affezionarmi a nessuno.

Sono perso, sono solo, sono un orfano, un ragazzo scheletrico che ormai ha poco da vivere.

I pidocchi mi creano un prurito insopportabile, e il terrore che il tifo esantematico o l'infezione alle vie urinarie possano colpirmi mi rende terribilmente in apprensione.

Mi sono anche rifiutato di cercare mio padre: la consapevolezza di averlo perso dopo così tanto tempo, e di averlo cercato invano, mi ha spinto per una volta a preoccuparmi della mia salvezza piuttosto che di un fantasma.

Il filo spinato separa il campo A dal campo B, dove le donne, anch'esse rigorosamente rasate, vagano senza cibo nello stomaco.
Dei bambini, ormai, neanche l'ombra.

Tra così tanta gente che occupa il campo è difficile distinguere Sarah e Malka, e continuo a credere ciecamente che anche loro abbiano avuto almeno un briciolo della mia fortuna: io, ormai, non so più cosa farmene.

Continuo a pensare agli orfanelli del rifugio. I loro volti ultimamente continuano a farmi visita nei sogni, ma sono così confusi che non ne ho memoria.

Quando ripenso a loro, a come allora le cose fossero relativamente più semplici, e a come passassero le loro giornate, quando non si verificavano contrattempi, mi convinco del fatto che, dopotutto, Dio gli ha risparmiato tante rogne.

Nei miei pensieri c'è anche Anja: dopo tutte le avversità, le sofferenze e la disperazione, mi convinco sempre di più del fatto che lei non sia il nemico.

È una ragazza splendida, e conservo ancora il biglietto, l'unica cosa personale che sono riuscito a tenere.

Continuo a credere con una gioia irrefrenabile che se me ne andrò da questo mondo lei continuerà a tenere in vita il mio ricordo: forse terrà le lettere che ho scritto con insistenza a mia madre da lontano, e, con la sua grande maestria, ne farà un libro molto avvincente.

Mentre cerco di chiudere di nuovo gli occhi, ignorando i rumori che vengono da fuori, vengo svegliato di soprassalto da una folla di giovani che strillano.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now