Capitolo 63

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SETTIMANA DELLA MEMORIA
Frase del giorno: sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morte ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.
(Salvatore Quasimodo)

Io e Friedrich ci avviciniamo ad un letto, guardando con sospetto la stanza.

Tanti uomini con il nostro stesso abbigliamento e rasati tentano di riposarsi, rigirandosi spesso sul fianco.

Esamino questo posto, e vedo tanti letti a castello da tre piani, in ognuno dei quali dormono tre, addirittura quattro o cinque persone.

Riusciamo sorprendentemente a trovare un letto con due posti liberi, sul secondo piano a destra.

Un signore longilineo occupa una parte, in posizione verticale.

«Salve. Spero non sia un problema se ci mettiamo qui» dico stupidamente, e il signore mi fa un gesto scocciato.

«Signore, lei sa dove siamo?» chiede Friedrich, rivolgendosi al nostro compagno di letto.

«Siete all'Inferno. Qui non facciamo altro che sgobbare dalla mattina alla sera per una misera scodella di acqua sporca» spiega il signore.

«Non fateci caso, ragazzi: Adam non è il massimo della simpatia» si aggiunge scherzando un altro uomo, con gli occhi scuri e il viso simpatico.

«Sono Yaacov, per quanto possa contare. Qui sono il trentenne numero B-3623. Siamo a Monowitz. Se siete qui, allora vuol dire che non siete poi così debolucci come sembra» aggiunge scherzosamente.

Ascolto attentamente le sue parole, e solo ora esamino il tatuaggio sul mio braccio: B-7456.

Questo mi fa pensare che gli uomini qui siano più di quanto si possa immaginare.

«Lavorare? Io sono molto debilitato! Delle SS mi hanno picchiato. Forse ho qualche frattura. Inoltre sono fin troppo mingherlino, i miei muscoli non sono sufficienti!» mi lamento, piagnucolando.

«Ragazzo, sei fin troppo fortunato! Vieni con me» mi dice.

Scendo dal letto, e lo seguo fuori la baracca.

Alcune SS si stanno ritirando in vista della fredda serata, e altre si divertono a menare alcuni uomini.

Non appena entrano nel loro raggio visivo, si avvicinano e li prendono a calci, ridacchiando tra di loro.

Rimaniamo ben nascosti nella baracca, ma Yaacov ci indica una zona in lontananza.

«Vedete quel fumo che esce dal comignolo? Quella nube nera?» chiede.

Riesco a vedere il punto in questione.

Yaacov mi guarda per un po', giudicando se sia prudente o meno rivelarmi la verità.

«Cos'è?» insisto, con un'improvvisa preoccupazione.

«Ragazzo, quelli sono uomini. Dicono che si trovano nel campo di Auschwitz» mi rivela.

Dio, no. Santo Cielo.

La rivelazione mi crea un malessere tale da rivoltare il mio stomaco, mentre Friedrich si passa più volte le mani tra i capelli con agitazione.

«Dove... dove sono i bagni?» chiedo, balbettando.

«Ci sono bagni comuni. Ti accompagno non appena quelli se ne saranno andati» mi dice Yaacov, indicandomi delle SS.

Tuttavia, non riesco a contenermi, e devo fare il giro della baracca e rimettere.

Attiro così l'attenzione di una di quelle SS, mentre il mio stomaco non mi dà pace: sono distrutto per la lontananza da Malka e Sarah, e il pensiero che sono rinchiuse in quello stesso campo in cui i deportati vengono cremati non lascia la mia testa.

«Ingrato! Noi ti diamo un posto dove dormire e tu ci vomiti sopra!» dice uno dei due, strillando.

Chino sull'angolino, sento l'odore di fumo che il soldato emana.

«Fai schifo» mi dice sputando a terra, e, prima che possa dire qualcosa, un calcio bene assestato colpisce il mio fianco, facendomi cadere a terra.

Soddisfatto, se ne va, mentre io rimango disteso, sporco di vomito e infreddolito.

«Uri!» grida Friedrich, lamentandosi di non essere riuscito a difendermi.

Cerca di mettermi in piedi, ma ora, per terra, il dolore è inimmaginabile.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now