Capitolo 58

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Il treno rallenta, destando l'attenzione di tutti i passeggeri.

Le mamme, sospettose, tengono stretti a sé i bambini, mentre Malka mi aiuta insieme a Sarah a mettermi in piedi.

Dopo pochi minuti riesco a sorreggermi da solo, ma lo scetticismo delle persone è tale da farle alzare e accalcarsi vicino alle finestre.

«Siamo arrivati?» chiede qualcuno.

«Chissà cos'altro ci aspetterà» esclama Malka.

«Che Dio sia con noi» prega Sami.

«Spero solo che ci daranno qualcosa da mangiare» aggiungono in molti.

Passano pochi minuti, e la tensione inizia a farsi sentire scorrendo nelle nostre vene che quasi bruciano per l'adrenalina.

Per quanto possa risultare sconcertante, non voglio scendere: vorrei, ma la paura per l'ignoto mi pervade ardentemente.

Rifletto su tutti gli spostamenti effettuati nell'ultimo anno, e giungo alla conclusione che in nessuno di questi sono stato tanto in apprensione.

Il primo, certamente, è stato quello dalla mia casa al ghetto: l'occasione e i modi, di certo, non erano dei migliori, ma, non conoscendo ancora la vera natura dei Tedeschi, ho ingenuamente riposto in loro le mie speranze.

Quanto era determinato Hitler a espandersi e riportare una schiacciante vittoria contro gli Alleati?

Apparentemente, nessun americano o russo avrebbe potuto infrangere i suoi sogni.

Eppure, dopo tre anni di guerra le sorti ancora non sono chiare, e le alleanze si stanno sorprendentemente ribaltando.

Il secondo "trasloco", invece, è avvenuto in concomitanza con la mia entrata nel "rifugio", e, rimanendo in tema, sono curioso di sapere quali notizie Anja abbia su Alexander.

Il terzo, invece, mi ha portato esattamente in un ospedale, e, nonostante la permanenza sia stata sorprendentemente breve, è stata divertente, confortevole e calorosa.

Infine, è arrivato il passaggio all'appartamento, e la vita, con Anja, Malka, Sarah e il piccolo Michael, è stata semplice e spensierata.

Nel complesso, nonostante i limiti imposti dal regime e dai tempi che corrono, ho vissuto dei mesi intensi, tanto da un punto di vista fisico quanto da un punto di vista mentale.

Ho deciso di smetterla di piangermi addosso.

Sotto alcuni punti di vista, queste giornate sono state inconcludenti: ho lasciato il ghetto proprio per trovare mio padre, ma non ho fatto altro che girare a vuoto, rischiando la mia pelle.

Ma nel complesso, se analizzassi la mia fase di maturazione potrei finalmente comprendere quanto questa permanenza lontano dal nucleo famigliare mi abbia rinfrancato.

Il treno rallenta sempre di più, e in questo piccolo vagone che ormai sa di nausea, pannolini non cambiati e umidità si alza un frastuono fastidioso.

A questo punto, Sarah e Malka non possono fare altro che accalcarsi insieme agli altri, nella speranza di intravedere qualcosa.

La visuale è assolutamente limitata, e un signore, vedendomi in difficoltà, si fa da parte per farmi vedere cosa stia succedendo.

I passeggeri iniziano ad aprire la finestra, sporgendosi, rendendo la mia impresa ancora più ardua.

Io non posso sforzare più di tanto la schiena, ma Sarah, lasciando momentaneamente la salda presa sui miei fianchi, si mette in punta di piedi.

«Vedi qualcosa?» le chiedo in apprensione.

«Dammi tempo, Uri, c'è troppa confusione» si lamenta, barcollando appena.

«Siamo in una stazione!» esulta un passeggero che ha ottenuto un posto in prima fila nel vagone.
«E ci sono anche delle persone» aggiunge con allegria.

È questione di attimi perché una voce arrivi dalla banchina.

«Fatevi indietro!» sentiamo dire appena, dato che il suono prodotto dalle rotaie sul binario è insopportabile ed eccessivamente acuto.

Gli altri ubbidiscono, e una nuova ondata di panico ci assale.

Sento quasi un proiettile che mi perfora il cranio, e mi immagino i corpi di Malka e Sarah riversi sul pavimento, in una pozza di sangue.

Immerso nei miei pensieri, ciò che avviene mi sconvolge, destabilizzandomi.

Mentre gli animi si destano da questa antica negatività, io non posso fare altro che assistere alla scena, sentendo le lacrime che scorrono sulle mie guance.

Dalla finestra, con assoluta precisione, iniziano a entrare quelli che, al momento, sono i cibi più prelibati che si possano desiderare: mele, caramelle, pane e altri cibi si radunano in questo piccolo vagone, su un pavimento sporco e tra la gente che si è disposta lungo il perimetro, e le persone si avvicinano famelicamente a queste prelibatezze.

Ognuno prende esattamente un prodotto per sé, spartendo equamente questo ben di Dio che si è accumulato qui dentro, in un clima di condivisione.

Sarah si avvicina al pavimento, e prende qualcosa anche per noi: una mela per sé, una pagnotta per la mamma e una barra di cioccolata per me.

Non appena ripone tra le mie mani il suo bottino, io non posso fare altro che rifiutarlo.

«Sarah, quella signora mi ha già dato un po' di pane» le dico, sfregandomi la pancia e facendo finta di essere effettivamente sazio. Per l'enfasi arrivo a toccarmi con tanta energia che la mia bocca emette un mugolio di dolore.

«Ma guarda come sei conciato! Se non mangi rischi di morire qui all'istante, e non per i colpi di quelle bestie, ma per i miei cazzotti» mi apostrofa la mia amica, ed è talmente arrabbiata che Malka non può fare altro che tentare di tranquillizzarla.

Sbuffo sonoramente, e mi rigiro tra le mani l'involucro in carta stagnola, che luccica talmente tanto da attirarmi nella sua trappola.

Ma mentre non sono convinto di voler togliere tanto cibo agli altri passeggeri, non posso fare altro che notare che il treno non si è del tutto fermato, anzi, ha accelerato, proseguendo il suo tragitto lungo i binari.

In seguito, una fiaschetta, abbandonata in un angolo, attira la mia attenzione.

Striscio sul pavimento, fino a raggiungerla, passando inosservato.

«Fossi in te non la berrei, ragazzo» mi dice un signore, che sta assistendo alla mia patetica scena.

Penso che stia cercando di ingannarmi per tenerla per sé, così scrollo le spalle e la porto alla bocca: se ha sete, vuol dire che la condivideremo.

Ma quella che sembrava acqua si rivela essere una disgustosa sostanza, apparentemente liquore.

Inizio a tossire sonoramente, e questa volta non posso non sentire gli occhi di tutti posati sulla mia esile figura.

Patetico, mi dico, sei proprio patetico.

Il signore mi guarda divertito, mentre quasi impreco per il sapore amarognolo che si è attaccato alla mia bocca.

Tuttavia, devo ammettere che per il resto la sensazione non è spiacevole: il gusto è forte, ma un improvviso calore invade le mie ossa, sciogliendo tutti i dolori.

«È tutto suo» dico al signore cedendogli la fiaschetta, e lui la beve in un sorso con una strana velocità.

Questo è il momento buono per tentare di mettermi più comodo.

Chiudo gli occhi, e nel giro di pochi secondi riesco finalmente ad addormentarmi, sperando che, al mio risveglio, mio padre, mia madre e i miei fratelli mi accolgano di nuovo a casa, mettendo fine a questa mia esperienza che si sta rivelando fin troppo duratura.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now