Capitolo 46

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Mercoledì 3 ottobre

Dopo aver ricevuto una grande delusione la scorsa settimana, oggi ho deciso di ritentare, e di tornare davanti a quella casa fatiscente che non fa altro che invadere i miei pensieri.

Ultimamente i miei incubi sono tornati con un impeto maggiore, ma per grazia di Dio (o per il mio semplice istinto e la mia fresca accortezza) ho avuto, questa volta, la prontezza di parlarne con qualcuno.

Mi sono rivolto in primis a Malka e Sarah.

L'amore materno di Malka, quello a cui tanto ambisco e che scarseggia nella mia povera vita solitaria, è stato una benedizione per la mia anima confusa: lei mi ha accarezzato la schiena, ancora scossa dai singulti, come solo una madre sa fare, tentando di farmi distrarre con le facce sorridenti e tenere di Michael e qualche gioco da tavolo che Anja ci ha recentemente portato.

Sarah, dal canto suo, debilitata com'è, mi ha solo rassicurato: "era solo un incubo, Uri, solo un incubo. Va tutto alla perfezione. Tu sei qui. Io sono qui. Anche Anja c'è, così come mia madre, Yona e Amos. Nessuno si farà più male fino a quando tu sarai in vita. Lo so io come lo sai te, anche se non lo vuoi ammettere. Concentrati su ciò che di bello la vita può ancora offrirti, che la guerra è quasi finita. Me l'hai insegnato tu d'altro canto, no? Alzati la mattina fissandoti nella mente un solo, misero motivo per cui essere felice, e portati dietro quel pensiero per tutta la giornata" mi ha detto, riscaldandomi il cuore.

In parte il suo monologo mi ha rinfrancato, eppure continuo a chiedermi come io, un misero adolescente insignificante in questo mondo, pieno di scheletri nell'armadio e pensieri torbidi, possa fare del bene agli altri quando non riesco neanche a occuparmi di me stesso.

Nei giorni a venire, tuttavia, non sono stato l'unico a crogiolarsi nel dolore.

Seppur non lo desse a vedere, c'era qualcun altro che aveva il disperato bisogno di ottenere almeno una misera conferma, e quel qualcuno era Sarah in persona.

Parlo di un dolore spirituale, si intende, e non di un male legato al suo stato clinico.

Questa volta, infatti, i pensieri legati alla sua brutta malattia non c'entravano proprio niente: quella fase l'aveva superata, e si era sottomessa al supplizio che Dio aveva deciso di mandarle, cosa che io non sarei mai riuscito a fare.

Penso ora, e sono più che convinto della mia teoria, che lei si fosse, in qualche sconosciuto e complicato modo, innamorata del ricordo di un ragazzino oscuro e circondato dai propri fantasmi di nome Shimon.

In più di un'occasione, infatti, mi ha posto delle domande varie sul mio vecchio amico del rifugio.

Com'era? Era alto? Di che colore erano i suoi capelli? E i suoi occhi? Era istruito? Parlava spesso di me? Parlava con risentimento? Mi ha veramente cercata nel centro di Berlino? Gli piaceva scrivere? Com'erano le sue mani? Erano rese callose dal troppo lavoro, o erano lisce e delicate?

In molti casi per me si è rivelato difficile rispondere alle domande di Sarah. Cosa potevo saperne io, che l'ho conosciuto bene solo nelle ultime settimane, che cosa gli passasse per la testa, o quali fossero i sentimenti che effettivamente provava per Sarah?

O forse gli avevo mai tenuto o analizzato le mani per tastarne la durezza?

Al solo pensiero uno stupido risolino mi scappa, nel momento stesso in cui mi immagino la scena.

"Shimon, puoi darmi la tua mano?" gli chiedo nella mia simpatica visione.

"Vuoi forse chiedermi di sposarti, maledetto impiccione? Il mio cuore è solo per Aaron" scherza il mio amico, e nello sfondo compare Aaron in persona che guarda Shimon con rimprovero.

Non abbiamo mai parlato apertamente della sessualità del nostro amico, ma sono sicuro che più di un compagno si fosse accorto del suo orientamento.

Nonostante ciò, Aaron non è mai stato oggetto di scherno: in una comunità fatta di persone diverse, ogni singola decisione o caratteristica dell'orfanello era bene accetta.

"Ma no, idiota che non sei altro. Devo solo vedere se le tue mani sono callose. È una curiosità personale" mi spiego con un tono di voce fin troppo serio.

"Ma fatti curare, Almeda" mi risponde Shimon, concludendo il mio surreale pensiero.

Mi fa male vedere Sarah ridotta in questo stato, ma questa volta, con mio grande rimpianto, è lei quella che non vuole sfogarsi con il suo amico di infanzia.

Anni fa avevamo confuso una semplice amicizia con qualcosa di più grande, nella nostra fresca giovinezza e nella foga di diventare grandi e di sperimentare, ma ora sono convinto che il ricordo di quel ragazzo impostato, con i capelli neri corvini, gli occhi scuri e impenetrabili, e un carattere che trascende il senso di tradimento e di solitudine, non la lasci andare.

Sarah deve ancora fare le sue esperienze, e imparare insieme a me come far andare via gli spettri del passato.

Mentre faccio questi pensieri, Anja mi tiene la mano, in attesa che una delle piccole figure spunti all'orizzonte.

«Uri caro, vuoi dirmi cosa sogni di tanto brutto da causarti questa recente insonnia?» mi chiede con fare amorevole.

Questa volta decido di fare un passo in avanti nella nostra relazione, e di sfogarmi con questa stupenda ragazza che ho al mio fianco.

«Spesso le persone che compaiono nei miei incubi variano, ma lo svolgersi delle vicende rimane invariato. In ogni caso c'è qualcuno che, davanti a questa casa di mattoni, muore, fucilato da un soldato mentre corre di notte. Un componente del rifugio, ad esempio, un mio amico a me caro...» le spiego, non osando neanche andare avanti nella mia lunga lista.

«Io penso che tu stia rielaborando inconsciamente gli eventi dell'ultimo anno, a partire dall'esplosione del rifugio. Non riesci a placare questo senso di pentimento e vergogna che continua a pervaderti, e a ciò si aggiungono le responsabilità che ti sei preso ultimamente. Ci sono Malka, Sarah e Michael, ad esempio, che hai portato via dall'ospedale, e forse, conoscendoti, ci sono anche io nei tuoi pensieri, perché temi che la relazione con un ragazzo ebreo possa essere la mia rovina. Io, dal canto mio, ti dico che vivrei con te cento vite e morirei altre cento volte, pur di rimanerti accanto» mi spiega, sigillando la sua promessa con un bacio a fior di labbra.

Guardo l'orizzonte, che sta assumendo sfumature più calde in vista del prossimo tramonto, e da quel punto la figura di un piccolo bambino arriva correndo, strillando il mio nome a fatica per lo sforzo compiuto.

In mezzo al sospiro del ventoWhere stories live. Discover now