Capitolo 13

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Non avevo mai visto Alexander così angustiato.

L'ho lasciato ieri nella Krankenhäus con un muso che quasi arrivava al pavimento, e la sua espressione non è minimamente mutata!

La sua generosità, la bontà che da sempre ha contraddistinto questo uomo ha lasciato spazio ad una versione più austera che a malapena concede un sorriso al piccolo bimbo che entrerà a far parte della nostra comunità.

Quando questa mattina, seguito da Aaron, l'ho ripreso dall'Ospedale, è uscito in tutta fretta senza consultare i medici, e, in una strada appartata, ha iniziato a togliersi di dosso l'uniforme: se non lo avessi bloccato in tempo, avrebbe avuto il coraggio di girare per la città in calzoni.

«Devi calmarti, o lascerai che ci scoprano» gli ho detto, e lui, dopo un apparente momento di totale calma, ha guardato il suo abbigliamento e ha rimesso in un angolo del vicolo: mi chiedo ancora se ciò sia dovuto a tutti gli anestetici, alla somministrazione endovenosa dei farmaci o a un sentimento di puro ribrezzo, sta di fatto che ha ancora il volto cereo.

Lo prendo in disparte, tirandolo per il braccio che non ha avuto bisogno di medicazioni, e, saltando oltre il cumulo di foglie secche che invade la stradina boscosa che stiamo attraversando, gli dico: «cosa ti prende?»

Fino a questo momento ho tenuto gli occhi fissi sulle sterpaglie, e su Aaron e Zeev che parlano del trenino di legno dal quale il bambino non si è separato nemmeno una volta, ma, non ricevendo alcuna risposta dal signore al mio fianco, mi volto per guardarlo, e al posto del vecchio dolce trovo una sorta di uomo regredito, con un'espressione imbronciata che nemmeno i miei due fratellini avrebbero fatto.

«Alexander... » lo incito, e lui sembra finalmente uscire da questo personaggio infantile nel quale si era momentaneamente calato.

Si volta verso di me e, con un astio che non avrei mai immaginato di poter vedere nei suoi occhi, si rivolge con freddezza.

«Mi chiedi come sto, giovane? Mi chiedi veramente come sto?
Mi sento come un uomo che è andato contro i suoi princìpi, contro tutto ciò che rende un essere umano tale, contro l'orgoglio, l'onore, la decenza - sottolinea quest'ultima parola con una certa enfasi.

«Mi sento come un uomo costretto a ridicolizzarsi per salvare una vita che oramai non vale la pena di essere vissuta. Mi è stata strappata la possibilità di raggiungere la serenità. Sono stato vestito come quel popolo, e non lo chiamo "razza" in quanto solo loro sono capaci di coniare un termine tanto abominevole, che mi ha portato via mio figlio, l'unica ragione della mia vita dopo che la mia Hanna è stata selvaggiamente uccisa dal padre e dai fratelli, anche loro nazisti, come un uomo che ha voltato le proprie spalle alla propria gente per puro egoismo. Ora dimmi, Saul, tu al mio posto come ti sentiresti?»

Rimango stordito dalle sue parole, e non tanto per il tono aspro e a tratti saccente o la velocità con cui sono state pronunciate, quanto per il significato in sé.

Alla mia conoscenza limitata di quest'uomo si sono andati ad aggiungere tratti agghiaccianti, come la morte cruenta della moglie che, a quanto ho capito, era tedesca.

Nonostante ciò, chiamo a raccolta tutte le forze che ho per rispondergli, cercando di non apparire infantile o scontato.

«Mi sentirei come un uomo che ha salvato il bene più prezioso che si possa avere, cioè la vita stessa. Tuo figlio e tua moglie vorranno di sicuro vederti combattere, e lasciarti andare sarebbe un gesto troppo egoista da parte tua.»

***

Manca ancora un po' prima che la mia schiena distrutta possa finalmente ricongiungersi al materasso del rifugio.

In mezzo al sospiro del ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora