9 - Scusa

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Viola fissò il pavimento chiaro e seguì le linee orizzontali fino al muro

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Viola fissò il pavimento chiaro e seguì le linee orizzontali fino al muro. La luce proveniente dalla finestra illuminava i pezzi di vetro che giacevano a terra come lo specchio di un lago. La ragazza osservava quello spettacolo con sguardo spento e la schiena appoggiata al cuscino del divano sul quale era seduta.

Nel soggiorno regnava un silenzio spettrale, interrotto dal suo respiro affannoso. I frammenti di vetro le ricordavano ciò che era successo con Fulvio e la scena si ripeteva nella sua mente.

Rivivendo quel momento si sentiva fuori dal proprio corpo, come se vedesse un'altra Viola che fronteggiava Fulvio. Osservava le occhiate sulfuree che si scambiavano e le gambe che non reggevano il loro peso.

Quella scena esplose in mille frammenti a causa della suoneria del cellulare, si voltò e vide sul display l'ennesima chiamata del padre. Sbuffò e cantilenò quella melodia come una ninnananna.

Dopo qualche secondo la stanza ripiombò nel silenzio e lei si alzò svogliata. Calpestò i pezzi di vetro e guardò lo specchio attaccato alla parete che era stato colpito per sbaglio dal proiettile. Gli diede le spalle e provò una strana sensazione camminando su quel lago improvvisato. Orrore e pace che pompavano il sangue nelle vene, energia vitale.

Alzò il mento a punta e guardò con sufficienza una foto, posizionata su un mobile di noce basso e largo. Gli si avvicinò e si concentrò sulla figura bianca che sorrideva all'obiettivo. Stava per accarezzare l'immagine incorniciata, ma un rumore di chiavi la fece sobbalzare. Si voltò e vide il padre entrare in casa. O, meglio, scorse prima la sua pancia.

L'uomo corpulento apparve in soggiorno e si portò le mani alla testa. "Che cazzo è successo?"

"Ben arrivato, papà."

Lui le si avvicinò, cercando di non calpestare i pezzi di vetro. "Che ti è saltato in mente? Hai idea di cosa hai combinato?"

"Scusa." Viola si sforzò di tenere un tono di voce fermo, per non far trasparire alcun tentennamento.

"Scusa? Arrivo a casa, trovo 'sto macello e mi dici solo questo?"

Lei sospirò, annuì e si inumidì le labbra con la lingua.

Il padre notò il cellulare della giovane sul divano. "Ti ho chiamato dieci volte, perché non hai risposto?"

Lei increspò le labbra. "E-Ero sotto shock" e indicò lo specchio. "Non mi è mai capitata una cosa così..." Si toccò un braccio. "Non ho mai sparato. Avevo paura e... non ho mai sparato a qualcuno. Non ho mai sparato, io... non ho mai sparato, non ho..."

Il petto si alzava e si abbassava, la salivazione azzerata.

Il padre la strinse tra le sue braccia e le accarezzò i capelli, sotto lo sguardo lieto della figura nella foto. "I condomini mi hanno raccontato tutto. Ho acceso il cellulare privato dopo il lavoro e mi sono spaventato vedendo le loro chiamate perse..."

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