66 - Risiede nel nostro cognome

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Elettra puntava gli occhi verdi su Oscar come un animale con la preda

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Elettra puntava gli occhi verdi su Oscar come un animale con la preda. Aveva così tante domande da porgli che non sapeva da dove cominciare. Aveva sempre desiderato che arrivasse quel momento e le tremavano le gambe: l'unica cosa che li separava era il parabrezza dell'auto.

Oscar abbassò il finestrino. "Vuole togliersi? Che sta facendo?"

Elettra sorrise. Persino il tono lamentoso era sempre lo stesso. Si avvicinò, sicura. "Voglio parlare con te."

"E chi si crede di essere per bloccarmi così?"

Elettra alzò il mento. "Tua sorella." Lui rise e premé il piede sull'acceleratore. "No, aspetti!" continuò Elettra cercando di stare al passo dell'automobile mentre passava sotto la sbarra alzata. Vedendo che l'uomo non voleva fermarsi, digrignò i denti. Non poteva lasciarsi sfuggire il colpo di fortuna che aveva avuto.

Diede un calcio allo sportello e indietreggiò per il dolore, ma l'auto procedette per qualche metro.

Mentre Elettra imprecava per quel gesto – estraneo al suo carattere – la vettura si fermò.

Oscar scese dall'auto sbattendo la portiera. "Che cazzo vuole da me?" e controllò che non ci fossero stati danni.

Lei alzò le spalle. "Oggi non porto i tacchi, è il tuo giorno fortunato." Sospirò, affranta: era riuscita a fermare Oscar, ma difficilmente l'uomo l'avrebbe presa sul serio dopo quello che aveva fatto alla sua macchina. Poteva scommetterci che la considerava una pazza, un'esaltata. Alzò le spalle. "Perdonami, davvero, ma c'è un senso a tutto questo. Non vado in giro a danneggiare le auto degli altri, è che voglio parlare con te di una cosa importante."

Oscar socchiuse le palpebre e le si avvicinò. "Lei ha un viso famigliare... L'ho già vista da qualche parte..."

Elettra annuì. La conversazione stava procedendo nella giusta direzione. "Sì, in effetti sono stata qui un mese fa, il giorno prima di San Silvestro. Allora ti ricordi di me..."

Lui scosse la testa. "Di clienti ne vedo molti ogni giorno... ma non capisco perché mi sta dando così tanta confidenza. Lei è una sconosciuta e non credo di sbagliarmi."

Elettra sorrise. "Non mi sembra il modo migliore per ingraziarsi i clienti. Una volta te la cavavi meglio."

"Siamo un ristorante, non un locale di dating."

Lei alzò le mani. La risposta pronta non gli mancava, altra caratteristica che le era mancata. "Tra insultare i clienti e portarseli a letto c'è una bella differenza." Scorse nel suo viso scarno un'espressione confusa e guardò l'orologio al polso. "Stiamo parlando da quasi cinque minuti e non mi hai ancora definita schifosa prostituta... un record!"

Oscar si massaggiò la fronte, sempre più disorientato. "Sei matta, e pure sotto l'effetto di qualche sostanza. Torna a dormire." Stava per rientrare in auto, ma Elettra lo trattenne per un braccio e i loro occhi furono così vicini da tuffarsi l'un l'altro. Forse nemmeno da giovani erano stati così attaccati. Elettra si sforzò di cogliere in quelle lastre di ghiaccio qualsiasi indizio che potesse farle capire di essere davanti a Oscar, ma scivolava nel dubbio. "Mi... dispiace, davvero. Devi avere una brutta impressione di me..." Si allontanò per raccogliere i pensieri. Con grande sorpresa, Oscar era rimasto lì ad aspettarla. "Se prima mi hai riconosciuta, hai riconosciuto il mio viso tra i centinaia visti in questo mese, un motivo c'è. E risiede nel nostro sangue, nel nostro DNA." Con pochi passi fu vicina a lui. "Risiede nel nostro cognome."

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