77 - Un vento di nome vendetta

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Elettra continuò a tenere la testa bassa anche in seguito all'uscita dal salone

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Elettra continuò a tenere la testa bassa anche in seguito all'uscita dal salone. Dopo aver risposto al dottor Barbero e alla figlia, Olga le aveva ordinato di seguirla nella camera di Oscar. I loro passi facevano scricchiolare il parquet in legno e risuonavano nelle orecchie come un tetro sottofondo dell'incontro che stava per avvenire. Aveva scelto di vedere un'ultima volta suo fratello, ma non era pronta a lasciarlo andare e ad abbandonarlo al suo destino. Malediceva la vita per essere stata così ingiusta e rimpiangeva di aver aspettato sedici lunghissimi anni prima di volerlo rivedere. In quel lasso di tempo aveva pensato varie volte di telefonargli, anche solo alle feste comandate, ma aveva sempre vinto l'orgoglio: si ripeteva che avrebbe dovuto essere lui a chiamare, a riallacciare i rapporti dopo aver lasciato Torino. Se solo Elettra fosse stata più umile, forse avrebbero ripreso a parlarsi e lui sarebbe tornato in città. Sentiva gli occhi pizzicare al pensiero di essere in parte responsabile delle persone che aveva incontrato.

Olga si fermò davanti a una porta in legno e la aprì. Elettra rimase di lato, ferma, l'odore di disinfettante che le solleticava le narici. Aveva già vissuto quella scena: le ricordava l'ultima volta che aveva parlato con suo marito, in punto di morte. I medici gli avevano dato poche ore di vita e, dopo l'estrema unzione, gli aveva parlato di tutto ciò che le passava per la testa, con la paura che le parole appena pronunciate fossero le ultime.

Abbassò lo sguardo e si massaggiò la fronte; il pensiero di non poter più vedere suo fratello equivaleva al decesso. Si sorprese della propria arrendevolezza: in altri tempi avrebbe lottato con tutte le sue forze per far tornare Oscar a una vita normale, ma aveva avuto la dimostrazione che il dottor Barbero fosse un uomo troppo potente. Inoltre doveva pensare alla figlia, a Riccardo, a Mirko: non poteva mettere a repentaglio la propria vita. Voleva riabbracciare Perla, voleva tornare a casa e sperare che quei tre mesi passassero in fretta per stringere tra le braccia i suoi nipotini.

Olga la invitò a entrare facendo capolino con la testa ed Elettra annuì torva. Varcata la soglia della camera, le si strinse il cuore a vedere suo fratello disteso su un letto. Dalle braccia partivano cavi collegati a dei macchinari e la parte inferiore del corpo era nascosta da lenzuola bianche. Il viso sembrava sereno, gli occhi chiusi e il petto che si alzava e abbassava regolarmente. Pareva dormisse.

"Oscar..." si lasciò sfuggire Elettra dopo essersi avvicinata. Gli accarezzò una mano e si voltò verso Olga. "Può sentirmi?"

La donna raggiunse la testiera in ferro del letto. "Non lo so, ma mai dire mai."

Elettra passò una mano lungo il suo gracile braccio. Quante volte l'aveva sollevata da terra e l'aveva fatta girare su se stesso. Quante volte si era messa a urlare perché la coglieva di sorpresa e sentiva la testa girare. Avrebbe fatto di tutto per tornare ad allora e godersi quelle dimostrazioni d'affetto. Strinse una mano a pugno. "Se gli parlo... forse può svegliarsi e riconoscermi... Possibile?"

"Gli abbiamo dato così tanto sedativo che difficilmente si risveglierà, per adesso."

Elettra abbassò lo sguardo lungo la sponda del letto e notò un laccio spuntare dal coprimaterasso. Tolse istintivamente la mano, come se potesse scottarla. Immaginò Oscar, poche ore prima, delirare e loro che lo legavano al letto come un malato mentale. Ripensò al cambiamento d'umore che lui aveva avuto appena l'aveva vista al ristorante, alle brutte parole che le aveva rivolto e al timore che potesse farle davvero del male. Tutto questo era successo solo due mesi prima e da allora sembrava dimagrito. Non aveva mai avuto una stazza imponente, ma – oltre alla barba – aveva perso tutta la robustezza di cui ricordava.

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