Capitolo 1 - Curiosi occhi neri [Revisionato]

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Brycen maneggiava l'orologio da taschino in modo compulsivo quando si stava annoiando. Non lasciava neppure cadere lo sguardo sul quadrante, chiudendo e riaprendo lo sportellino così tante volte da rendere quel ritmico tla-tlack il sottofondo delle sue lezioni.

Era diventato un gesto così automatico che faticava a credere di aver vissuto senza per buona parte della sua vita. A Zima avrebbero sgranato gli occhi alla sola idea di un orologio così piccolo, anche se lui ne aveva già letto: sapeva dell'esistenza di treni, radio e macchine da scrivere prima ancora di mettere piede a Sayfa, ma per i suoi familiari non erano che oltraggiose esagerazioni di fantasia, così come un uomo che intraprende la professione dell'insegnante.

Un'eresia. Qualcosa di tanto impossibile da risultare grottesco.

Adesso Brycen teneva una di quelle esagerazioni tra le mani e sedeva dietro a una cattedra di noce intarsiata, circondato da persone che consideravano tutto questo normale; avrebbe dovuto sentire il sapore della libertà, la frenesia della vittoria, eppure quelle sensazioni erano svanite così rapidamente che a stento le ricordava.

Aveva sognato troppo in grande? O forse non lo aveva fatto abbastanza?

Vide Elena cercare il suo sguardo dopo aver finito di scrivere, e Brycen chiuse l'orologio in uno schiocco più secco. Lo fece scivolare in tasca e si alzò per affiancare la donna minuta, osservando i segni bianchi sulla lavagna in un mugolio compiaciuto.

«Molto bene, Rochella. La grafia è buona, ma le linee diagonali della runa diek sono troppo lunghe.» Brycen raccolse il gesso che Elena aveva posato, disegnando il simbolo corretto sopra il suo. Ne tracciò uno simile subito accanto, stavolta facendo fuoriuscire i segmenti dal triangolo in cui erano rinchiuse. «È molto simile alla runa em, perciò si rischia facilmente di confonderle. È preferibile accennare appena le linee, piuttosto. Sarebbe come scrivere la lettera A senza il tratto orizzontale, per fare un paragone: tecnicamente scorretto, ma ugualmente comprensibile.»

Elena annuì, tornando al suo posto. A volte Brycen si domandava se i suoi studenti provassero un qualche tipo di risentimento per le sue correzioni; il duro accento zimeo sporcava in modo così marcato la sua pronuncia che trovava bizzarro, se non ridicolo, bacchettare i suoi studenti per i loro errori.

Ancora più strano era insegnare le basi della sua lingua a persone che avevano dieci o addirittura vent'anni più di lui. La libertà d'accesso ai corsi dell'Accademia era encomiabile, ma generava classi disomogenee: i suoi studenti avevano età comprese tra i diciotto e i sessant'anni, diverse estrazioni sociali, istruzione e nazionalità – però condividevano lo stesso obiettivo. Che fossero uomini o donne, figli di ex marchesi o di operai, c'era solo un motivo per cui i sayfani decidevano di imparare lo zimeo: le Pietre di Sihir.

Brycen tornò alla cattedra, seguendo distrattamente la figura slanciata di Rubio che si avvicinava alla lavagna. Lo lasciò a ripulire la superficie scura dai segni del gesso e alzò lo sguardo, scrutando la mappa di Zima appesa alla parete: un territorio immenso a nord del continente, rappresentato in modo così impreciso e poco dettagliato che mancavano persino i nomi di alcune città importanti. Le posizioni delle Cave, però, erano accurate e tradotte in sayfano; anche le rune della Capitale sembravano sbiadire, a paragone con le lettere viola acceso che segnalavano la presenza di depositi tra le montagne.

Era questo che vedevano i sayfani quando osservavano quella mappa? Nulla più di un gigante ghiacciato da cui estrarre minerali, i cui abitanti erano così sciocchi da sprecare le Pietre di Sihir per ornamenti e gioielli piuttosto che sfruttarle come fonte di energia?

Brycen aveva smesso di cercare tra i suoi studenti qualcuno spinto dal puro desiderio di imparare, che fosse incuriosito dalla cultura zimea, dal beyledismo o dalle sue filosofie: per loro Zima esisteva solo in funzione delle Cave, e quel linguaggio dall'alfabeto incomprensibile e dalla fonetica rigida era utile solo per estrazione, commercio e affari.

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