Capitolo 45 - Increspature nell'acqua (1/2) [Revisionato]

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Il tla tlack dell'orologio da taschino scandiva il passare dei secondi. Brycen lo apriva e lo chiudeva senza curarsi dell'ora, lo sguardo fisso sul gancetto che catturava lo sportellino metallico per poi spingerlo di nuovo all'indietro. Si era ritirato nel salone di preghiera per riordinare le idee, ma la sua mente si era svuotata, persa in un vorticare di pensieri che faticava a concretizzare. Aveva studiato per anni, scritto innumerevoli pagine e ragionato per così tanto tempo su come controbattere a ogni opposizione che credeva sarebbe stato facile esporre i frutti del suo lavoro, ma a breve la sua famiglia si sarebbe riunita nel salone e lui non aveva ancora deciso come iniziare il discorso.

Forse avrebbe dovuto chiedere più tempo. Forse era stata un'idea poco logica e particolarmente stupida, anche se meno di un'ora prima era sembrato il contrario. Forse era inutile arrovellarsi su come condurre una discussione che nessuno voleva ascoltare. Forse...

«Smettila immediatamente.»

Una mano avvolse la sua, impedendogli di aprire lo sportellino per l'ennesima volta. Brycen alzò lo sguardo in un sussulto e si scontrò con gli occhi blu di sua sorella, che lo fissavano severi. Era così immerso nei suoi pensieri che non l'aveva sentita entrare.

«Scusami, lo metto via.»

«Non parlo dell'orologio» disse Mari, liberandogli la mano. «Smettila di abbandonarti all'ansia. Conosco quello sguardo vacuo, sono certa che proprio adesso tu stia pensando "forse avrei dovuto chiedere più tempo" o qualcosa del genere.»

Brycen distolse lo sguardo, sentendo sua sorella sbuffare.

«Ecco, lo sapevo. Per certe cose sei ancora identico a quand'eri un ragazzino. Sei solito ripetere che il ragionamento conduce alla risoluzione dei problemi, io trovo piuttosto che ti sia utile solo a crearne di altri.»

«Sono vere entrambe le cose, ritengo» disse Brycen, facendo scivolare l'orologio nella tasca.

Alzò lo sguardo verso la parete di fronte a sé, l'unica a mostrare note di colore in quella stanza. Non c'erano poltrone né suppellettili, solo un tappeto candido e quel mosaico screziato di mille tonalità in cui si nascondeva l'effigie di Beyled. Riusciva davvero a scorgere i contorni della sua figura o era solo un inganno della mente?

Sospirò. «Temo di essere stato troppo avventato. Ho il presentimento che la situazione non avrà esito positivo.»

«Oh, no, questa è una certezza. Quello che ti preoccupa davvero è che possa rivelarsi inutile, ma non lo sarà.» Mari lo affiancò, appoggiando le spalle al muro. «Una volta mi avevi fatto un esempio con un sasso e un lago, ricordi? È sufficiente lanciarne uno per creare delle increspature nell'acqua. Anche se il sasso va a fondo, la superficie continuerà a essere smossa.»

«Ma tornerà calma dopo un po' di tempo, come se niente l'avesse scalfita.»

«Vorrà dire che si lancerà un altro sasso, poi un altro e un altro ancora, finché il fondale non sarà pieno di sassi e... Non lo so, me l'ero preparata fin qui. Sei tu quello bravo con le metafore.» Mari alzò le spalle, lasciando la lunga treccia viola con le dita. «Se non lanci nessun sasso non avrai per certo nessuna increspatura, perciò vale sempre la pena farlo. Ecco il punto. Non mi riesce un discorso motivazionale migliore di questo, perciò dovrai accontentarti»

Brycen distese le labbra. «È più che sufficiente, grazie.»

«Ne sono sollevata, perché i parenti sono già tutti in salone» disse Mari, ricambiando il sorriso con aria giocosa. «Io torno da Edvokin e Chloe. Raggiungici quando sei pronto.»

«Un'ultima cosa.» Brycen afferrò la mano di sua sorella e portò le nocche non alla fronte, ma alla guancia. Non aveva mai salutato a quel modo neppure Bethelie, concedeva quel piccolo gesto soltanto a lei. «Devo ringraziare molte persone nella mia vita, ma tu meriti la mia riconoscenza più di chiunque altro. Sei stata la prima a supportarmi e non eri che una bambina. A volte penso... No. So per certo che ho trovato le mie risposte perché tu mi hai spinto a cercarle, perché mi hai permesso di credere che potevo essere qualcosa di diverso da un mostro. Io da solo non credo che ne avrei avuto la forza, Mari. Se sono qui oggi, se sono riuscito ad accettare il mio Naru, è solo perché quel giorno tu mi hai sorriso.»

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