Capitolo 60 - Mantenere l'equilibrio

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Chloe non ricordava di essersi mai sentita così male. La testa era un agglomerato dolorante e informe, trafitto dalla luce come se ogni raggio fosse una lama rovente. Mugolò sofferente mentre cercava di trovare un senso al mondo che le vorticava attorno, rotolando tra le lenzuola che la avvolgevano malamente. Lanciò uno sguardo offeso alla porta-finestra alla sua destra, gli occhi stretti di disappunto verso quell'accecante luminosità che l'aveva svegliata.

Era fastidiosa. Brycen aveva ragione a chiudere le pesanti tende ogni notte, a costo di risvegliarsi in una cupa penombra. L'unico motivo per cui Chloe non seguiva il suo esempio era che la finestra del suo monolocale era orientata a ovest, perciò il sole non avrebbe mai avuto possibilità di...

Chloe sobbalzò, trattenendo il fiato. Dov'era?

Spalancò gli occhi e si mise a sedere, una scelta mossa dall'istinto che però il suo corpo non fu in grado di sostenere: barcollò all'indietro e dovette cercare sostegno puntellandosi sul materasso per non cadere. La stanza girò per qualche istante. Gli occhi lacrimanti le impedivano di mettere a fuoco forme e colori, ma quello che riusciva a scorgere era sufficiente a confermare che quello non era il suo monolocale, né la camera da letto di Brycen.

Portò una mano alla fronte per schermarsi dalla luce, pregando che la fitta lancinante che le attraversava il cranio la smettesse di tormentarla, poi si concesse un istante per ritrovare contatto con il mondo.

Chiuse gli occhi e li asciugò con i palmi, poi li riaprì. Era più semplice tenerli aperti se sfruttava le mani per schermarsi dalla luce, però si sentiva ancora troppo confusa per comprendere dove fosse. Quell'arredamento era familiare, ma non abbastanza: ricordava di aver già visto quell'aberrante griglia metallica che era la pediera del letto, l'armadio posto così vicino al materasso da avere a malapena lo spazio per l'apertura delle ante, le pareti rivestite da un'anonima carta da parati con un leggero pattern a righe grigie su fondo bianco.

Chloe lasciò vagare lo sguardo sulla cassettiera a destra della porta bianca, superando lo specchio a parete che restituiva l'immagine di una ragazza confusa, con i capelli sfatti e la gonna a balze dell'abito blu malamente stropicciata. Terminò l'inconcludente giro panoramico osservando la finestra: oltre i vetri macchiati di pioggia, alcuni refoli di fumo si innalzavano verso il cielo. Non erano grigi, bianchi o nerastri; erano viola, proprio come il Sihir.

La consapevolezza la colpì tanto violentemente da mozzarle il fiato. Il ricordo di se stessa acquattata sul balcone le tornò nitido come se fosse accaduto poche ore prima, e quasi si rivide sbirciare rapidamente all'interno di quella stanza prima di proseguire verso la cucina, dove aveva trovato Kolt la prima volta.

Quella era casa di Kolt. Era la sua camera, e Chloe si era risvegliata nel suo letto.

Il suono del cuore che batteva cominciò a rimbombare tra le orecchie, martellando quel chiodo che sembrava trafiggerla da una tempia all'altra. Inspirò ed espirò lentamente, cercando di fare mente locale: l'ultima cosa che rammentava della sera prima era la visita di Chen-Yi, ma la discussione tra loro era confusa, sfocata, e i suoi ricordi terminavano con il sapore amaro del gin.

Aveva davvero bevuto fino a ridursi in quello stato? E perché, in nome degli Dei, era andata da Kolt? Doveva averlo fatto quando aveva ancora sufficiente lucidità, o non sarebbe riuscita a seguire la giusta serie di Gallerie fino a Roumberg. Perciò l'aveva raggiunto volontariamente, per qualche ragione che non riusciva a ricordare, e poi...

"No, non può essere successo davvero" annaspò, stringendo il lenzuolo tra le dita. "Oh Dei, vi prego..."

Chloe si alzò tremante dal letto, i muscoli che faticavano a reggerla in piedi. Non sapeva più distinguere i sintomi del dopo sbornia da quelli della sua angoscia: la mente sembrava lontana, alienata come dopo un intenso uso di Maelstrom, e il corpo fremeva senza che riuscisse a fermarlo. Sentiva a malapena il freddo delle mattonelle sotto i suoi piedi nudi, la luce bruciante che la costringeva a strizzare gli occhi, il profumo di uova al tegamino che la raggiunse dopo aver aperto la porta.

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