Capitolo 22 - Né prima, né dopo [Revisionato]

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«Un cespuglio di cinguettii viola e profumatissimi è un'ottima sinestesia, Laurie ma resta una traduzione errata» disse Brycen, addolcendo il tono mentre poggiava i gomiti sulla cattedra. «Vuoi riprovare?»

«Tsvetov» si corresse lei, balbettando appena. La voce cristallina aveva ancora strascichi dell'accento aperto di Hedea, ma gli accenti erano al posto giusto. «Kust ochen' aromatnykh purpurnykh tsvetov

«Bravissima.» Brycen distese le labbra, e vide Laurie sospirare di sollievo. Era la più giovane del suo corso, diciotto anni appena compiuti e occhi nocciola che la timidezza spingeva sempre in basso; nessuno più di Brycen sapeva quanto fosse essenziale avere qualcuno che spronasse a fare il contrario.

«Gli zimei non sono accomodanti sugli errori di fonetica» proseguì Brycen, facendo scorrere lo sguardo sull'intera classe. Gli occhi dei suoi studenti erano vacui e distratti, segno che avevano rivolto altrove i loro pensieri durante l'interrogazione, ma sfruttare un tono di voce più alto e deciso era sufficiente a richiamare la loro attenzione: a quelle prime parole seguirono schiene drizzate e menti sollevati, e tutti gli rivolsero presto lo sguardo. «Di fronte a un errore di pronuncia o un accento scorretto, un sayfano tenderà a sforzarsi di comprendere ciò che avete detto, cercando familiarità di suono nelle parole che possono dare alla frase senso logico. Non aspettatevi la stessa cortesia da uno zimeo: continuerà piuttosto a chiedervi di ripetere fin quando non lo direte nel modo giusto, anche quando il significato sarà ovvio. Per questo è fondamentale impegnarsi sin da subito a pronunciare correttamente ogni parola. Se vi sentite insicuri, portate con voi qualcosa su cui scrivere: un errore di scrittura, persino uno grammaticale, è considerato meno grave.»

Brycen si alzò, rigirandosi la catenella dell'orologio tra le dita mentre parlava. Non abbandonava mai il retro della cattedra durante le lezioni, se non per utilizzare la lavagna; Chloe, al contrario, trascorreva dietro il bancone meno tempo possibile.

Non mi piace il distacco che crea, gli aveva detto, e Brycen aveva riflettuto a lungo sulle sue parole.

Una cattedra non era poi così diversa da un bancone. Entrambi definivano i ruoli delle parti in gioco, ma rappresentavano anche un ostacolo netto e invalicabile. Generavano una distanza tra le persone che Chloe superava ogni volta che poteva, avvicinandosi ai suoi clienti e consentendo così a loro di avvicinarsi a lei. Brycen non era certo di poter applicare quel concetto anche ai suoi studenti, ma si sentiva abbastanza ottimista da tentare.

Doveva ringraziare Acamar, per quello: era tornato a Mehtap già da una settimana, eppure sentiva ancora addosso il buonumore che le vacanze gli avevano trasmesso. Forse il mare era davvero in grado di sovvertire gli animi, come sosteneva Chloe – o forse era soltanto lei, che trattava l'impossibile come fosse un gioco e lo invogliava a credere che fosse persino in grado di vincerlo.

«Adam, continuiamo con te.» Brycen raccolse il libro di testo dalla cattedra, appoggiandosi di schiena al bordo. «Stessa pagina, traduci dal capoverso successivo.»

L'uomo drizzò le spalle e annuì, passando una mano tra i corti capelli neri. «Dopo la vittoria, Don Dragunov regalò una bottiglia di nalewka al suo avvocato come ringraziamento.»

«Alla sua avvocata» lo corresse Brycen. «Sebbene a livello grammaticale yurist si comporti come un termine neutro, concettualmente è da considerare femminile.»

Adam si accigliò. «E un avvocato uomo come lo chiamo?»

«In nessun modo, temo: non esistono avvocati uomini, le professioni giuridiche sono esclusiva delle donne.»

Gli studenti sollevarono sguardi stupiti, cominciando a borbottare. Solo due tra loro sembravano esserne al corrente: tutti gli altri guardavano Brycen come se si aspettassero che scoppiasse a ridere da un momento all'altro.

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