14.

1.1K 64 63
                                    

1/5

Devo smetterla di distrarmi. Devo allenare la mia mente a rimanere concentrata su qualcosa per più di due minuti, di modo da riuscire a portare a termine un compito, un progetto o, semplicemente, di modo da non essere costantemente in ritardo. Perché è questo il vero problema, la causa di tutti i mali: ormai sono talmente distratta da dimenticarmi persino di controllare che ore sono.

Saluto un paio di persone mentre cammino ad una velocità impossibile verso l'edificio dove Eric mi sta aspettando, mentre mi trascino dietro un raccoglitore carico di fogli, il vero motivo per cui essere tanto in ritardo mi preoccupa davvero. Vogliamo distribuire una sintesi della presentazione a Thomson, alla Reedley e a chiunque altro sarà presente, non so perché diavolo Eric mi abbia affidato il compito di custodire buona parte del progetto, ormai dovrebbe aver capito che sono la persona meno affidabile del mondo. E se non l'ha capito, oggi gli schiarirà sicuramente le idee.

Supero una strada dopo l'altra, fino a raggiungere il cortile interno che precede l'ingresso dell'edificio in cui Thomson ci sta aspettando. I miei occhi catturano subito l'immagine di Eric, fermo con le braccia incrociate al petto, la schiena posata contro il muro, gli occhi verdi fissi su di me.

« Ci sono! Lo giuro, ci sono!» esclamo con il fiato corto, mentre velocemente lo raggiungo e noto subito che non c'è un minimo di benevolenza nel suo sguardo.

« Abbiamo detto alle undici qua fuori.» mi ricorda, sciogliendo le braccia ed avanzando di un passo.

« Lo so, puoi arrabbiarti mentre corriamo in aula, ok?»

« No, non è ok, Morland.» ribatte, posando una mano sulla parte bassa della mia schiena, mentre velocemente ci lasciamo alle spalle i pochi studenti seduti sulle panchine in pietra che circondano il cortile. Distratta dal suo tocco, dal fatto che non mi sfiora da appena un giorno e mezzo ma sembrano secoli, dal fatto che è tutto tanto naturale da spaventarmi, a malapena sento le sue prossime parole. Centra qualcosa con "responsabile", o "indispensabile", o...

Prima che me ne renda conto, il braccio di Eric si sposta intorno alla mia vita e mi tira indietro, contro il suo corpo, dietro il suo corpo, quasi sollevandomi da terra nel processo. Sbatto le palpebre un paio di volte, confusa, mentre la mia mente ci mette un po' a mettere insieme gli indizi e a capire cosa sia successo.

Clarissa Stephens è ad un passo da noi, in mano un bicchiere che deve contenere del the o del caffè, non importa davvero, quello che importa è che riesco a vedere il fumo alzarsi dal liquido bollente e, abbassando leggermente gli occhi, noto una macchia scura sulla ghiaia del cortile. Mi ha tirato addosso dell'acqua bollente. Ha provato a tirarmi addosso dell'acqua bollente. Voleva farmi male, bruciarmi. Dio, sta esagerando.

Come se non fosse successo niente, Clarissa mi fissa con uno sguardo che mi mette a disagio e un sorriso che non ha nulla, assolutamente niente di vero. « Ops.» sussurra, quasi divertita.

Sbatto le palpebre, cercando le parole giuste, un modo di affrontare la situazione che non preveda la violenza perchè, per quanto sia una persona irresponsabile ed irrazionale, non ho mai davvero affrontato fisicamente qualcuno in vita mia, e di certo non comincerò a farlo con una persona che da un anno cerca in tutti i modi di farmi male. Non ho davvero bisogno di parlare però, la voce di Eric risuona per il cortile, sicura, bassa e minacciosa. « Chiedile scusa.» intima a Clarissa, il braccio ancora fermo in una presa ferrea intorno alla mia vita, gli occhi fissi sulla ragazza di fronte a noi, ora confusa e leggermente intimidita. Sento gli sguardi di chiunque addosso.

« Come?» chiede Clarissa con un fil di voce, la mano che regge il bicchiere trema leggermente e per un attimo temo che voglia provare di nuovo a gettarmi addosso il suo contenuto.

Fallen from the sky with Grace Where stories live. Discover now