02. Regola numero due: Luna Morland è una minaccia per la società. E per me.

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Eric

Sono sicuro che comincerà a piovere prima dell'inizio della partita e da una parte mi importa poco, visto che sicuramente non sarà la pioggia oggi a rendermi difficile giocare.
L'abitacolo dell'auto di mio padre è incredibilmente silenzioso, vedo i tifosi affrettarsi verso lo stadio ma non sento niente: nè le loro risate, ne le loro voci, nè la musica proveniente dall'arena. Niente.

Papà mi ha lasciato qui dopo i dieci minuti più lunghi della mia vita, so perfettamente che non voleva andarsene, ma allo stesso tempo era il momento di tornare ad essere Coach Haynes e di dirigersi verso l'ingresso dello stadio, verso gli spogliatoi dove, ne sono certo, i miei compagni di squadra sono già riuniti e si chiedono dove io sia finito. Se solo sapessero che sono in auto, a pochi metri dal campo, indeciso se darmi alla macchia o scendere e assumermi le mie responsabilità. Sarebbero sorpresi, scioccati forse di fronte alla mia sparizione improvvisa, ma credo anche che nell'ultima settimana sia stato chiaro che la mia testa non è del tutto concentrata sul football, e soprattutto non su questa partita.

È per questo che papà ha deciso di prendermi da parte, di separarmi dai miei amici ed impedirmi di raggiungere lo stadio sull'autobus insieme a loro, è per questo che mia mamma ha deciso di lasciarci da soli: volevano che parlassi almeno con uno di loro di qualsiasi cosa mi stia passando per la testa. La verità è che non lo so nemmeno io. Sono consapevole di essere incredibilmente distratto, a scuola come in campo, consapevole di aver sbagliato azioni semplicissime durante gli allenamenti e di aver ascoltato poco e niente delle parole del coach e dei suoi assistenti.

«È per Matthew?» ha chiesto papà non appena ci siamo lasciati casa alle spalle.

«Non è per Matthew.» ho risposto sincero. La partenza di mio fratello in Primavera è stata un colpo allo stomaco, il fatto che abbia lasciato l'università e il football di punto in bianco, per arruolarsi, ha lasciato tutti di sasso. Però so che la mia distrazione non è a causa di Matthew. No, i miei pensieri hanno un nome e un cognome, due occhi castani che mi perseguitano ed un profumo fresco e dolce che mi sembra di cercare ovunque, in continuazione.

Chiudo gli occhi e poso la nuca contro il sedile dell'auto, prima di sospirare rumorosamente e passarmi una mano tra i capelli. Luna Morland.

Luna. Morland.

All'istante, l'altra sera riprende vita nella mia testa, ricordi ben più che dettagliati della lavanderia dei Garcia, delle mie labbra su quelle di Luna, del suo respiro irregolare, del mio cuore impazzito, delle mie mani intorno alla sua vita pronte a stringerla più di quanto sia normale, quasi avessi paura, il terrore, di vederla allontanarsi da me.

Cristo Santo.

Apro gli occhi nervoso, di nuovo distratto, mentre il mio sguardo si concentra sull'orario sul display dell'auto e mi rendo conto di avere appena un minuto per scendere e dirigermi verso gli spogliatoi.

«Qualunque cosa sia non ne vuoi parlare e tua madre ed io rispettiamo la tua scelta, Eric.» ha detto mio padre, evidentemente combattuto prima di lasciarmi qui in auto. «Ma devi assumerti le tue responsabilità e uscire là fuori. La tua squadra conta su di te, tutti contiamo su di te. Hai dieci minuti per ricomporti, non uno di più.».

Dopo aver preso un altro respiro, apro la portiera dell'auto e scendo, l'aria carica di pioggia mentre un vento umido scuote le foglie degli alberi nel parcheggio. Recupero il borsone dal bagagliaio, prima di richiudere con un tonfo sordo e premere il pulsante del telecomando che fa scattare le serrature dell'auto. Stringo la spalliera del borsone all'inverosimile, deciso e determinato a darmi una regolata, a concentrarmi sulla partita e non deludere nessuno. Quando finalmente sento di essere sulla buona strada, alzo lo sguardo e mi allontano dalla macchina.

Fallen from the sky with Grace Where stories live. Discover now