49.

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So di star stringendo il cellulare tra le dita della mano destra, so che è premuto contro il mio orecchio e che devo rimanere concentrata, non farmi distrarre da ciò che mi circonda, perchè una volta collegata la linea avrò più o meno due minuti per spiegare la situazione. La sedia nella sala d'attesa del pronto soccorso è scomoda, nonostante siano almeno le undici di sera infermiere, dottori e pazienti fanno avanti e indietro in maniera frenetica. Prendo un bel respiro, l'odore di disinfettante ed ammoniaca estremamente pungente, mentre mi sforzo di rimanere concentrata sul mio compito e su ciò che dovrò dire.

Eric risponde al primo squillo.

«Fammi indovinare.» comincia, la voce stanca ed esasperata. «Siete finiti in un club di Ithaca, anzi no, siete finiti a casa del proprietario del club per una festa che non era in programma.»

«Eric...»

«Ti stavo aspettando per cena, Morland.» mi rimprovera, anche se non è davvero arrabbiato ma rassegnato. Deglutisco, prima di prendere un altro respiro. Come glielo dico senza che gli venga un infarto?
Mi rendo conto di essere rimasta in silenzio troppo a lungo, quando la sua voce chiama di nuovo il mio nome, questa volta preoccupata. «Luna?»

«Devo dirti una cosa, ma devi promettermi di rimanere calmo.» inizio, stringendo sempre di più il telefono. Il silenzio dall'altra parte si fa pesante, mi immagino il mio ragazzo immobile nella cucina della Kappa Sigma, il corpo incredibilmente in tensione, la calma prima della tempesta. «Mentre eravamo sulla superstrada per andare in città, LeBron ha dovuto sterzare per non finire addosso all'auto davanti a noi, siamo finiti fuori strada e...»

«Dove sei.» chiede all'istante, la voce più bassa del solito.

«Stiamo bene. Stiamo tutti e due bene.» non riesco a respirare regolarmente mentre caccio fuori una parola dopo l'altra. Gli sto raccontando una bugia, i miei occhi si posano all'istante sulla fascia blu scuro che mi circonda il polso sinistro e per un attimo penso a LeBron e rischio di andare davvero nel panico. «Non so a che ora riuscirò a tornare, ma appena sistemeremo la situazione...» chiameremo un Uber perchè la macchina è distrutta.

Non riesco a completare la frase, un annuncio all'altoparlante del prontosoccorso mi interrompe e, non appena fa silenzio, è Eric a parlare. «Dove, Luna.» insiste, una calma spaventosa.

«Al pronto soccorso di Auburn.»

«Arrivo.» attacca prima che possa rispondergli, prima che possa dirgli di non correre, che non stavo scherzando, a parte il polso slogato, il mal di testa pressante e la certezza che non potrò mai più salire su un auto con la musica accesa senza avere paura, sto bene.

Abbasso il cellulare preoccupata, mentre due infermiere mi passano davanti costringendomi a seguirle con gli occhi. Quando il mio sguardo si ferma su LeBron, intento ad uscire da una delle stanze, tiro un sospiro di sollievo. Abbandono il cellulare sulla mia borsa e mi alzo dalle sedie; gli vado incontro senza nemmeno pensarci, notando a malapena il cerotto sulla sua fronte, intento a coprire il taglio che si è procurato. Sì, perchè io potrò anche avere un polso slogato e una leggera forma di PTSD, ma LeBron ha sbattuto la testa, e sicuramente mi preoccupa molto di più. Poso il viso sul suo petto, mentre lui ricambia l'abbraccio e sospira. Mi godo il suo calore familiare, il suo profumo, tutto quello che ho sempre considerato "casa" ed ho rischiato di perdere in pochissimi secondi.

«Luna, mi dispiace.» comincia, la voce strozzata.

Scuoto la testa decisa. «Eravamo tutti e due distratti.»

«Stavo guidando io.» mi fa notare. Non l'ho mai visto tanto a terra in vita mia, mai tanto triste e uno strano istinto protettivo fa immediatamente la sua comparsa all'interno del mio sistema.

Fallen from the sky with Grace Where stories live. Discover now