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Uscire dalla casa dei Torres, oggi, è più difficile del solito. Con Johna attaccato alla mia gamba e Mathilde intenta a fare i capricci mentre mi stringe il collo ed ignora sua madre, che in un tentativo disperato cerca di riprendere il controllo della situazione. Per un attimo mi chiedo se entrambi i bambini di Clara riescano a percepire quanto mi spaventi l'idea di lasciare questa casa, visto che LeBron mi sta aspettando fuori da almeno quindici minuti per andare a lezione di danza ed è chiaro, ovvio, che durante il tragitto continueremo il discorso che abbiamo lasciato in sospeso ieri. Il discorso che mi ha portata a passare il resto della giornata a cercare conforto tra le braccia del mio ragazzo, e a macchiargli la t-shirt di mascara e lacrime. Patetica.

«Ok, ora basta.» affermo decisa, talmente tanto che Mathilde smette di piangere, Johna allenta la presa. «Torno qui domani, niente drammi.». Mentre suo fratello mi lascia andare, la bambina tra le mie braccia mi fissa confusa, sorpresa da tanta fermezza da parte mia. Clara ne approfitta all'istante per afferrarla e liberarmi del suo peso che, seppur minimo, è decisamente aumentato negli ultimi mesi. Sorrido alla mia amica, anche lei sull'orlo di una crisi di nervi al pensiero di dovermi lasciare andare. «Davvero, sono qui domani pomeriggio.»

«Lo so.» risponde, decisa  a mostrarsi forte. A volte odio il professor Torres per il fatto di lavorare tanto, odio che spesso e volentieri non sia a casa prima delle dieci di sera. «Vai, prima che decidano di riprovare a trattenerti.».

Annuisco e le sorrido, subito dopo lascio un bacio sulla testa a Mathilde, uno a Johna (ancora per terra, un broncio in volto) e scappo dalla casa dei Torres. La macchina di LeBron è parcheggiata alla fine del vialetto, il motore ancora acceso. Mi affretto a raggiungerlo, anche se dentro di me temo il momento in cui mi siederò al posto del passeggero.

Una volta chiusa la portiera riesco a concentrarmi sul mio migliore amico: mi fissa scettico, schiocca la lingua prima di parlare. «Quindici minuti.»

«Mi dispiace, ti ho detto che potevi andare senza di me.»

«Avresti saltato lezione di danza perchè dei bambini hanno cercato di prenderti in ostaggio?»

«Mi avrebbe accompagnata Eric.» rispondo ovvia. Il mio ragazzo si è offerto di venirmi a prendere almeno dieci volte durante il corso della giornata, dicendomi che se non volevo vedere LeBron per il momento, per stare più tranquilla, mi avrebbe portata a lezione di danza senza battere ciglio. A volte penso che non sia possibile amarlo più di quanto lo ami già, spesso mi ricredo.

«Sì, può scordarselo.» borbotta LeBron sotto voce, prima di girare il volante e lasciare il parcheggio. Ci allontaniamo dal complesso in cui abitano i Torres in completo silenzio, l'abitacolo buio, la musica alla radio ad un volume accettabile per l'orecchio umano. Mentre io benedico il fatto di non dover parlare, so perfettamente che la mia anima gemella sta solo pensando bene alle parole da usare. Quando le trova, so di non essere pronta. «Charlie ha prenotato un volo per San Francisco per il 31 di Maggio.»

«Oh, grandioso.» sospiro, cercando di suonare sincera.

«Abbiamo trovato un appartamento nella zona di Fillmore.»

«Ok.»

«Dobbiamo vederlo dal vivo, ma sono convinto che andrà bene.»

«Sicuramente sì.» mormoro, giocherellando con le dita posate sulle mie gambe.

«C'è una scuola di danza a pochi passi da casa.» continua, questa volta non rispondo. «E tante di quelle opportunità di lavoro che...»

«Vi sistemerete in fretta.» lo interrompo, decisa a farlo smettere. Che senso ha torturarmi così?

«Luna...» comincia, stringendo leggermente il volante mentre ci immettiamo sulla superstrada e troviamo traffico all'istante. Grandioso. «Non ho dormito questa notte, non dopo la mail di Eric.»

«Che... che mail di Eric?» chiedo quasi senza voce, gli occhi sgranati, improvvisamente composta sul sedile.

«Questa.» LeBron recupera il cellulare dal portabicchieri, lo sblocca e me lo porge. I miei occhi si posano all'istante sul testo della mail: "Non mi interessa se avete litigato, non mi interessa se è colpa di Luna o colpa tua, ma fai piangere in questo modo la mia ragazza ancora una volta, LeBron, e io e te avremo un problema serio." 

Il mio respiro accelera all'istante, il mio cuore completamente fuori controllo, mentre le orecchie mi fischiano e guardo l'orario in cui è stata inviata: poco dopo che ho attaccato il telefono, mentre ero ferma in auto davanti ad un parco giochi vuoto. Dio, Eric probabilmente ha perso la calma più di quanto abbia dato a vedere, mentre aspettava che tornassi. «Perchè una mail?»

«Perchè non ha il mio numero, e all'inizio dell'anno gli abbiamo dato un foglio con le tue idee per il vostro progetto, la mia mail come riferimento.» spiega, la voce bassa. Non sapevo nemmeno che Eric avesse tenuto quel foglio. «Devo temere per la mia vita?»

«Stava scherzando, LeBron.»

«Non stava scherzando.» ribatte deciso. «Un ragazzo che ti guarda in quel modo, come se fossi una sorta di divinità scesa tra noi comuni mortali, non scherza quando scrive un messaggio del genere.»

«Gli parlerò.» cerco di rimediare, ancora incredula di fronte al testo di quella mail. Blocco lo schermo del cellulare e lo riposo nel portabicchieri, mentre con la coda dell'occhio vedo il mio migliore amico scuotere la testa.

«Non volevo farti piangere, Luna. Davvero.» comincia preoccupato. «Sapevo che saresti stata sorpresa dalla notizia, ma credevo... credevo che una parte di te ne sarebbe stata sollevata.»

«Sollevata? Sei serio?!»

«Saresti potuta andare a Boston con Eric senza guardarti indietro.» spiega, costringendomi a spostare lo sguardo verso il finestrino mentre la macchina procede lentamente. Forse è un buon momento per dirgli che è molto probabile che lasci Ithaca insieme al mio ragazzo. «Ma Luna... neanche io voglio separarmi da te e la soluzione è ovvia, evidente.» continua, un sorriso appena accennato in volto. «Vieni a San Francisco anche tu.»

«Che?» sospiro sorpresa, il corpo fermo, immobile e teso.

«Non ho prenotato il biglietto con Charlie perchè voglio partire con te, in auto, le toghe ancora addosso come abbiamo sempre programmato. La casa a Fillmore ha una stanza in più, una stanza per te e non sarà un problema ambientarsi, adorerai San Francisco.»

«LeBron...»

«Pensaci, ok? Farmer's Market, negozi vintage, gite a Sausalito, migliaia di feste.» continua, mentre io mi ritrovo a sorridere senza nemmeno rendermene conto. «Possiamo arredare l'appartamento come vogliamo, appendere cristalli ovunque, incenso ovunque.»

«Charlie sarebbe d'accordo?»

«Charlie non ha voce in capitolo. E prima che tu dica che non vuoi fare il terzo incomodo, ricordati che sarebbe lui il terzo incomodo.» aggiunge deciso. «Questa canzone!» esclama prima che possa rispondergli. LeBron alza il volume della musica al massimo, i vetri dei finestrini tremano, i miei timpani protestano ed il cuore mi batte in gola, mentre il mio migliore amico balla al posto di guida, finalmente il traffico sembra sparire e per un attimo ci siamo solo noi due sulla faccia della Terra.

LeBron allunga una mano per pizzicarmi un fianco, obbligarmi a cantare e a ballare con lui, mentre sbagliamo ogni singola parola e se ieri credevo che non avrei mai potuto essere tanto ferita, oggi sono sicura di non essere mai stata tanto felice in vita mia. Mai tanto completa.

Almeno fino al momento in cui riporto gli occhi sulla strada, e noto che l'auto di fronte a noi è ferma e si fa più vicina ad una velocità impressionante. «LeBron!» lo chiamo oltre la musica.

Lo sento imprecare, le ruote fischiare sull'asfalto mentre il mio migliore amico gira il volante per sferzare e all'istante perde il controllo della macchina. Finisce fuori strada, poi dritta contro un albero.
Mi ritrovo a posare le mani sul parabrezza per ammortizzare il colpo, mentre gli airbag esplodono e quasi mi metto ad urlare per il dolore che sento al polso.

Finché non sento più niente.

Fallen from the sky with Grace Where stories live. Discover now