38.

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Il mio corpo e la mia mente, sfiniti, mi hanno concesso di dormire per almeno undici ore, permettendomi di svegliarmi a mente lucida, sicuramente più lucida degli ultimi giorni, e a tirare un sospiro di sollievo nella mia camera illuminata dal sole delle nove del mattino.

È un nuovo giorno. Un'altra possibilità.

Me lo ripeto ogni mattina da almeno una settimana, un tentativo disperato di tenere a bada qualsiasi tipo di emozione, di mettere un freno alle lacrime che sembrano bruciarmi costantemente gli occhi, essere sull'orlo di scivolarmi sul viso da un momento all'altro. È un nuovo giorno, una speranza in più che oggi andrà meglio.

Evito accuratamente di guardare il cellulare, non ho bisogno di pensare a tutti i messaggi ancora senza risposta che ho mandato a LeBron, o a quelli che Kyle ha mandato a me. Non voglio nemmeno prendere in considerazione il fatto che ieri sera Eric possa aver provato a chiamarmi, dopo che me la sono data a gambe dallo stadio di Ithaca. Almeno per oggi voglio rimanere concentrata sullo studio, portarmi avanti con i progetti che ho lasciato in sospeso, prepararmi per i test della prossima settimana. Ho bisogno, per lo meno, di avere dei risultati decenti durante il mio ultimo semestre alla Sterling. Tutto il resto, in questo momento, non è la priorità.
A quanto pare ragionare per priorità funziona.

Mi preparo velocemente per andare in biblioteca, legando i capelli in una coda alta e recuperando una borsa in tela contente almeno sette libri da ottocento pagine l'uno. Quando attraverso i corridoi della Lynn Hall non faccio caso allo occhiate che sembrano lanciarmi tutte, immagino che la finale sia stata trasmessa in diretta nazionale ieri, e che il gesto di Eric una volta terminata la partita, sugli spalti, abbia attirato la sua dose di attenzioni. È normale, non ne sono felice, ma è normale.

Una volta varcata la soglia d'ingresso del dormitorio e raggiunto il parcheggio, però, capisco che non è solo quello che è successo ieri ad aver portato tante persone a guardarmi incuriosite: Eric ha posteggiato la sua auto accanto alla mia, ha le braccia incrociate al petto, la schiena posata contro la portiera chiusa, mentre i suoi occhi sono fissi sulla sottoscritta. Mi ritrovo a deglutire, ad avere leggermente paura, perché una cosa è certa: non sono pronta ad affrontarlo, sono stanca di litigare e non so più nemmeno cosa dirgli per fargli capire che può ritenersi libero dal nostro accordo.

Prendo un bel respiro, prima di forzare ogni muscolo del mio viso nel mutarsi in un sorriso sincero e curioso, mentre la sua espressione rimane impassibile, seria e concentrata. « L'eroe della Sterling non dovrebbe essere fermo in un parcheggio, alle nove e mezzo del mattino.» inizio, prima di posare la borsa pesante ai miei piedi. Lui non risponde, gli occhi ancora fissi sulla mia faccia. « Ti hanno già chiesto un autogra...» la sua mano raggiunge la mia vita, prima di attirarmi leggermente in avanti con uno sforzo minimo ed abbassare il viso sul mio. Le sue labbra si posano sulla mia tempia, lasciando un bacio delicato e dolce, talmente tanto da costringermi a chiudere gli occhi e cercare di respirare, il mio cuore ormai fuori controllo. Poso una mano sul suo petto, al di sopra del cappotto, pronta a spingerlo via forse, ma non davvero decisa a farlo. « Eric.» mormoro nervosa.

« Sei andata via.» risponde a bassa voce, roca, probabilmente per i festeggiamenti di ieri. Non allenta la presa nemmeno per un attimo.

« Sono rimasta fino alla fine della partita...»

« E poi sei andata via.» conclude, prima di lasciarmi un altro bacio. Questa volta non riesco a rispondergli. « Possiamo andare da qualche parte? Fare colazione?»

« Devo studiare.»

« Hai mangiato?»

« Sì.» rispondo in automatico, qualsiasi cosa per uscire da questa situazione, per riprendere il controllo del mio corpo, rimettere un po' di distanza tra di noi. Che senso ha illudersi ancora?

Fallen from the sky with Grace Where stories live. Discover now