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-Vi lasciamo un po' di privacy?- alzò un dito Clint, desideroso di fuggire il più lontano possibile da quella palpabile presunta discussione.
-No, restate pure. Almeno mi impedirete di fare qualcosa di cui poi mi pentirò.- sputò velenoso Stark. Peter aveva i nervi a fior di pelle.
-Tony, non ucciderlo.-
-Non te lo prometto.- avvisò il compagno, non distogliendo un secondo la vista dal figlio.
Il sedicenne si morse il labbro, un'espressione colpevole in viso. -Posso spiegare...-
-Avevi un solo compito, uno! E cioè rimanere qui! Non sai nemmeno ascoltare, ragazzino?!- partì subito all' attacco, alzando la voce e non temendo di mostrare tutta la sua disapprovazione. -Che avevi in mente? Gli sei letteralmente saltato in bocca, sei fuori di testa? E poi Amaranta... quella strega, poteva ucciderti! Tutto nelle ultime ore poteva ucciderti!-
-Thones, può bastare.- fece determinato Rhodey, spostandosi dal muro su cui si era poggiato e vedendo gli occhi del giovane farsi rossi.
-Io mi spacco il culo tutti i giorni per proteggerti, per tenerti lontano dal pericolo, e tu butti tutto nel cesso come se niente fosse! Sei la persona più immatura, avventata, sconsiderata ed egoista che io abbia mai conosciuto e ne ho visti di tipi come te in vita mia!- gli puntò contro l'indice, la vena sul collo pulsava e la faccia era rossa.
-Tony, basta.- lo avvertì Bruce, Peter aveva preso a singhiozzare.
-Cos'è, non ti vuoi bene? Sei uno di quegli adolescenti ai quali piace farsi male? Correre rischi e far venire infarti agli altri? Sei un masochista? Un autolesionista, eh? Dimmelo! Vuoi morire e stai tentando in ogni modo di ammazzarti?!-
Steve scattò: -Tony!-
-Volevo salvarti!- sbottò Peter, alzando la testa e mostrando le lacrime che gli stavano bagnando le guance. -Eri in pericolo e volevo salvarti!-
Stark restò col fiato sospeso, lo stesso i suoi amici.
Peter singhiozzò e battè le ciglia più volte per vederci meglio. Imbarazzato e sentendosi a nudo, contemplò sia il pavimento che il bruno. -Io... io sono un orfano, va bene? Non... non ho mai conosciuto i miei genitori. Non ho mai chiamato nessuno "mamma" o "papà", avevo solo i miei zii. La mia realtà era basata su di loro, su M.J., sulla scuola. Per tutta la vita mi sono visto come un errore per colpa dei miei poteri e quando... quando ho messo piede qui dentro, abitato da eroi con doti straordinarie, mi sono sentito finalmente me stesso.- proferì, la voce bassa e roca per il pianto.
-Ho pensato che non mi avessero voluto per quello che sono, che fossero spariti. Questo mi ha fatto credere che nessuno mi volesse. Ho sofferto di attacchi di rabbia, ho urlato, e la morte di mio zio ha solo peggiorato le cose. Trattavo male May anche se non lo meritava, era la mia ultima parente, le volevo bene e mi pento di non averglielo detto così spesso. Morta lei, sentivo di non avere più niente. Nessuna famiglia, nessuna casa... niente.- pianse, facendo dei passi indietro e gesticolando con le mani. L'unico rumore nella stanza era la sua voce, tutti stavano zitti per ascoltarlo.
-Non sono bravo a parlare. Non so descrivere quello che provo, non so dire certe parole perché so di non comprenderle fino in fondo. Però da quando sono qui, ho cominciato a capire che cosa vuol dire "casa". "Supporto". "Sostegno". Credevo che contare su qualcuno fosse sinonimo di "ancora", qualcuno che ti tiene a terra e legato a ciò che sei e dove ti trovi. Provavo solamente odio, non mi fidavo di nessuno, contavo solo su me stesso, e mi faceva stare bene, mi sentivo più forte.- sorrise amaro, nuove lacrime lasciarono i suoi occhi. -Mi sentivo inarrestibile odiando lei.-
Tony si morse la lingua per contrastare il dolore che quelle parole gli inflissero.
-E quando mi avete accolto, quando mi avete trattato immediatamente come uno di voi... mi sono reso conto che stavo meglio. Stavo meglio e la cosa non mi dispiaceva. Mi sono accorto solo oggi che ogni mattina mi alzo e sorrido, sto con voi e riprendo a mangiare, sono più concentrato a scuola e ho meno incubi come non mi accadeva da anni. Ho avuto anche il coraggio di dichiararmi alla mia migliore amica, cavolo... E poi c'è lei, un uomo completamente diverso dallo Stark che ho conosciuto tramite i telegiornali, il gossip e le voci. Una persona che ha creduto in me dall'inizio, che mi ha spinto a dare sempre il massimo, che mi ha insegnato che arrendersi è la vera sconfitta.- il tono tremò, era impossibile saper dire quelle frasi che cercava come poteva di spiegare.
-Ho provato a spingerla via. Ci ho provato, veramente, ma lei è tornato, tornava sempre, con martelli, motoseghe, palle demolitrici, qualsiasi cosa pur di buttare giù le mie barriere. Nonostante i miei insulti, i miei tentativi di respingerla, lei mi è venuto contro ogni santa volta! Mi dava fastidio, cazzo, mi inorridiva che qualcuno fosse così testardo da non lasciarmi perdere come hanno sempre fatto tutti quanti!- asserì, affannato e agitando le braccia. Era talmente nel pallone da scompigliarsi i capelli.
-Io la odio! La odio per tutta la sua dolcezza, per avermi fatto dubitare di ogni cosa che ho fatto fin'ora, per avermi messo dentro un fuoco che continua a bruciare e divampa quando mi rende felice come non lo sono mai stato! Sento questo senso di attaccamento nei suoi confronti che mi sta facendo impazzire, maledizione... All'improvviso non sono più lo strano ragazzino mezzo ragno del Queens, lei mi fa sentire come se fossi speciale! E i suoi nomignoli teneri, e il fatto che è tornato ai fornelli solo per me, e la tuta, e le regole, e i film visti insieme, e io che sono la sua Terra, e il suo dirmi che mi vuole bene... non ragiono più, porca puttana, sono nella merda!- guaì, gemendo e producendo versi sofferenti.
-Mi fa male tutto, nella testa, nel cuore, ovunque! Avevo niente, ero certo di non avere più niente, poi è arrivato lei e mi ha dato qualcosa. Ed è spaventoso, è congelante, è sconvolgente, è nuovo e lo temo. Fa male che adesso la guardo e non provo più rimorso... non ci riesco... e non ne capisco il perché! So solo che ho una paura fottuta che prima o poi mi sveglierò, sbatterò le palpebre e tutto questo sarà sparito. Sparisce sempre tutto, perdo ogni volta tutto. Fa male il fatto che mi accorgo che se perdo lei, io do di matto! Dopo mia madre, mio padre, mio zio, mia zia... L'ho vista in tv, l'ho vista che stava per restare senza ossigeno e non c'ho pensato più di due volte! Volevo rimanere qui, lo giuro, ma temevo le accadesse qualcosa. Non potevo starmene seduto a fare niente mentre lei lottava contro la morte. Non potevo guardare e basta! Odio quanto mi ha reso volenteroso di affetto, odio quanto di me stia venendo fuori in queste settimane e odio soprattutto il fatto di non odiarla affatto!- fermò il suo monologo per tornare a respirare normalmente e i suoi occhi si unirono a quelli di Stark, -Perché ci tengo...-
Tengo a te.
Non volò una mosca nei secondi a seguire. Nessuno ebbe la volontà di muoversi. Chiunque in quel salone era rimasto pietrificato, commosso da quel giovane col cuore di un uomo che aveva passato le pene dell'inferno. E capirono subito che Tony aveva bisogno di rimanere da solo con lui dallo sguardo che rifilò loro.
-Io devo andare.-
-Sì, anch'io.-
-Ho un appuntamento.-
-Sono in ritardo per l'otorino.-
Ogni scusa fu buona, anche se patetica, e riuscirono ad andarsene definitivamente per dare loro il rispettato spazio.
Si scrutarono senza dir nulla per breve tempo, poi Tony poggiò tutto il peso su un piede e si mise le mani sui fianchi, sospirando. Chiuse gli occhi e piegò le dita per dirgli di avvicinarsi. -Vieni qui.-
Peter tirò su col naso. -No.-
-Sì.-
-No...- si allontanò di poco e venne preso dal braccio. Non ci provò neppure a liberarsi.
-Invece sì.-
-Non voglio.-
-Sì che lo vuoi.- Tony lo abbracciò forte, baciandolo su testa, collo, spalla e tempia. Tanti baci, tanta forza e calore nella stretta.
Il ragazzo seppellì il volto contro di lui, continuando a lasciarsi andare in un pianto liberatorio.
Sedici anni fa, quel corpo che stava tenendo a sé gli poteva stare tranquillamente in braccio e rimanerci per tutto il giorno.
Tony Stark non avrebbe mai pensato che la sua vita sarebbe cominciata per la seconda volta quando nacque Peter Parker e adesso... adesso che sapeva quanto si erano avvicinati realmente, quanto tutti e due avessero messo in gioco, il terrore di perderlo crebbe.
Gli voleva bene. Con tutte quelle frasi, per sbaglio incasinate, gli aveva detto in modo sottinteso che gli voleva bene. Che ci teneva. Che se lui fosse a rischio di morte, ne sarebbe devastato e farebbe di tutto pur di salvarlo.
E il sentimento era reciproco.
Perché mi sono svegliato una mattina, cosciente che eri nato. E non potevo credere al fatto che la sera prima tu ancora non esistessi.

Luci. Luci accecanti. Vari colori dispersi nello spazio intorno a sé.
Non capisce niente, dove diamine è finito?
Serra le palpebre e alza la testa. Sbatte le ciglia, una, due, tre, quante volte ne ha bisogno. Ha uno strano sapore di metallo in bocca, che schifo. Ed è... sdraiato? Che ci fa sdraiato?
La vista torna, le forme sono di nuovo normali. Una stanza pulita, puzza di disinfettante, e le lenzuola che ha addosso sono bianche.
No, non è la sua stanza. Quello non è di certo il suo pigiama. E quella non è la sua fle... la sua flebo? Perché ha una flebo nel braccio?
Un attimo! Flebo, disinfettante, tutto lindo e pinto... un ospedale.
Perché è in ospedale?
Prende il telecomando vicino alla sua mano e clicca il pulsante per alzare metà letto e così il suo busto e schiena. Dal comodino lì vicino preme il tasto di chiamata. In poco tempo entra un infermiera.
-Mr. Stark? Si è svegliato, finalmente.- la donna accende una piccola torcia e gli controlla le pupille, -Riesce a vedermi e a sentirmi correttamente?-
-Sì, penso di sì... che mi è successo?-
-Un incidente, è rimasto un giorno intero senza sensi. Le abbiamo già fatto la TAC, nessun trauma cranico. Ha perso un bel po' di sangue, ci sono stati vari donatori col suo stesso gruppo sanguigno per quello. La prego di non togliersi la flebo, è molto disidratato.- continua a visitarlo e a dargli indicazioni per capire se è totalmente vigile.
-Ero da solo? Nella macchina, intendo, ero da solo?-
L' infermiera non si muove più e lo squadra. -Non si ricorda proprio nulla, Mr. Stark?-
-Io... no.-
-Eravate in tre. Be'... quattro, a dire il vero. La donna che era con lei e il suo autista ha partorito, ricorda? Avete dovuto farle voi un parto cesareo prima che arrivasse l' ambulanza.-
Ed ogni pezzo del puzzle torna al suo posto. -Cazzo!- impreca e tenta di alzarsi, -Il bambino!-
-Mr. Stark, si fermi! Si calmi, la prego!-
Tony prende per le spalle la donna. -La scongiuro, mi ascolti attentamente. Deve rispondermi con sincerità, ok? Dov'è il bambino che ho fatto nascere?-
-È... è qui. Assieme agli altri bambini. Si è ripreso abbastanza in fretta, è un neonato forte.-
-Ho bisogno di vederlo.-
Lei resta interdetta. -Mr. Stark...-
-La prego, io... la supplico! Me lo porti qui. L' ho fatto nascere io, cavolo, e ancora non l' ho preso in braccio.-
-Mr. Stark, lei non è un parente, non posso...-
-Sono il padre.- sbotta la verità, -Sono il suo padre biologico. Nella borsa della madre, Mary Parker, c'è il test di paternità. Lo porti qui, glielo posso mostrare. Per favore... devo vedere il mio bambino.- piange, il petto va su e giù per l' orrore al pensiero che non può averlo subito con sé.
Lei resta colpita e riconosce in un lampo il nome della donna, capendo chi è e in che guai lei e Stark si sono cacciati. -D'accordo, io... vedrò cosa posso fare.-
-Grazie. La ringrazio, davvero. Scusi se le sono sembrato brusco. Miss...?- la lascia andare e torna ad appoggiarsi al cuscino.
-May. May Jameson.- dice il suo cognome di battesimo piuttosto che quello da sposata, ci avrebbe parlato più tardi. Sia con lui, che con suo marito.
Passano venti minuti prima che l'infermiera - May - torni e gli consegna in braccio un fagotto piccolo e bianco, con all' interno un bimbo di un giorno. -Lui è Peter. È in perfetta salute. L' ho monitorato io stessa, centoventicinque battiti al minuto da ieri, totalmente normale.- gli comunica, consegnandogli quello che pensava essere suo nipote. Già, doveva capire ancora tante cose...
E Tony piange ancora. È così piccolo, così innocente, buono e amabile. È stupendo, santo cielo, meraviglioso. Lo bacia sulla fronte, ridendo tra le lacrime.
Lo ama. Lo ama di già. Lo amerà per sempre.
Peter... Gli piace. Gli sta bene come nome.
-Scusa... May... hai una calcolatrice?-
La donna alza le sopracciglia e tira fuori il telefono dal camice. -Posso usare questo, perché?-
-Hai detto... hai detto centoventicinque battiti al minuto da ieri, giusto? Moltiplicali per ventiquattro, le ventiquattr' ore in cui siamo stati separati.-
-Non ne capisco il motivo, ma... tremila. Tremila battiti per ventiquattro. Non capisco cosa c'entri dato che il calcolo che si dovrebbe fare è più grande, ma se è contento lei...-
Tony soffia una risatina e annuisce. -Grazie.-
May sorride e decide di lasciarli da soli per un po'.
-Ehi, piccolo... sei venuto al mondo un po' bruscamente, vero, tesoro? Ciao, Petey-pie... scommetto che sei il nuovo amore della mia vita, eh?- lo chiama piano, sorridendo e deglutendo. Il cuore batte, forte, incessante, come se fosse sulle montagne russe, come se stesse parlando con la sua prima cotta.
Tremila. I primi tremila battiti in cui lo aveva amato. Tremila battiti lontano da lui. Tremila in cui non erano ancora insieme.
Non si sarebbe ripetuto mai più.
-Ciao, amore mio... sono il tuo papà.- col pollice gli accarezza una guancia rosea e paffuta, -Ti amo tremila.-

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-Kitta♡

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