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Alla fine, Paulo era riuscito a convincermi che Parigi non fosse così male.

Quel viaggio l'avevo organizzato io, eppure era stato lui che mi aveva portato in tutti i posti che conosceva.

Non sapevo ci fosse già stato, così come non ci tenevo a sapere che ci fosse stato una volta sola prima di me.

Con Antonella.

Ma in fondo Paulo non aveva colpe, dato che, ignara e ingenua quale sono, lo avevo tartassato di domande e alla fine aveva confessato il fattaccio.

Il giorno in cui siamo arrivati in città, mi aveva portato sotto la Tour Eiffel proprio un attimo prima che si illuminasse completamente, con l'arrivo del tramonto.

Ero rimasta completamente incantata, appuntandomi mentalmente di dover avvisare le mie amiche, con cui covavo un club contrario alla Francia e ai francesi, che quell'affare non fosse soltanto una stanga di ferro in piedi in mezzo ad un prato verde, ma era molto, molto di più.

Poi, avevamo trascorso quasi un'ora sotto la torre cercando di fotografarci durante un bacio a stampo, nel tentativo di fare vedere le nostre sagome, anche se completamente surclassate dalle luci dorate.

Avevamo camminato per ore per la città, a caso, mano nella mano come due ragazzini e cercando di mantenere Paulo in incognito il più possibile, così da rimanere nella nostra bolla.

E così da non dover sentire l'accento francese, se non nell'hotel in cui pernottavamo e nei ristoranti che sceglievamo.

Quando, in mezzo alle persone, Paulo si copriva quasi completamente il viso con cappello e sciarpa di lana, la luce del giorno o della notte metteva maggiormente in risalto i suoi occhi chiari, il che non mi permetteva di resistere dall'avvicinarmi per baciarlo, anche attraverso la sciarpa che lo copriva fino al naso.

Per quanto questo viaggio avrebbe dovuto essere una semplice fuga d'amore, la prima di una lunga serie, così come ci eravamo promessi quella sera a casa sua, una volta diffuse sul web le foto a Parigi, Paulo era stato contattato per un evento dell'Adidas, e così nel giro di poche ore ci eravamo ritrovati a raggiungere il posto indicato, annullando tutti i programmi dell'ultima sera in quella città.

"Si può sapere dove stiamo andando? Non posso stare qui con te, tra poco ti chiamano sul palco", urlo a Paulo, mentre mi trascina tra le stanze interne di quegli infiniti corridoi dietro il grande palco che avrebbe ospitato calciatori di varie squadre tra le più importanti d'Europa, e membri delle maggior squadre del calcio femminile.

"Non dire stupidate. Sono Paulo Dybala, potrei far venire qui anche un'intera classe di scuola elementare e non mi direbbero nulla", dice spavaldo, facendomi ridere mentre arriviamo di fronte ad una porta con su scritto il suo nome.

"Sono francesi, non ne sarei così sicura", ribatto, e questa volta è lui a ridere, prima di lasciarmi un veloce bacio a stampo nel corridoio buio e vuoto.

"Prometti di stare calma", mi dice poi, posando una mano sulla maniglia della porta.

Aggrotto la fronte, completamente interdetta.

"Cosa hai combinato?", chiedo.

Sorride beffardo, per poi alzare gli occhi al cielo e abbassare la maniglia.

"Niente, voglio solo presentarti mio fratello", mi informa, un attimo prima di aprire la porta del suo camerino e mostrarmi la sua sorpresa.

Di fronte allo specchio, seduto su una delle varie sedie disposte davanti ad una scrivania piena di trucchi e fogli con le varie scalette della serata, Paul Pogba parla animatamente con una truccatrice impegnata a sistemargli i capelli.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora