Sessanta

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La porta della stanza di Cole si apre e escono Allison e Mads e l'infermiera. Mi alzo di scatto dalla sedia in sala di attesa e le raggiungo.

«come sta?»
Allison evita ancora il mio sguardo.
Mads e l'infermiera si guardano ma nessuno si decide a dire niente così faccio per entrare ma quest'ultima mi blocca.

«voglio solo lasciargli la maglietta»
«non può entrare.»
«voglio solo vedere come sta la prego»

Cerco invano di costringere l'infermiera a lasciarmi entrare nella stanza di Cole ma questa sembra non arrendersi.
«non mi costringa a chiamare la sicurezza»
Arresa faccio un passo indietro.
«e va bene. Ma io non me ne vado... Non finché non si sarà svegliato»

«te ne sei già andata...»
Sento mormorare Allison.
Faccio finta di niente e continuo a insistere finché Mads non mi da delle risposte.
«È sveglio... ma vuole stare solo.
Lili fidati di me, va a casa. Riposati, sei distrutta.»

Detto questo le ragazze si allontanano e io rimango davanti a quella stanza.
L'infermiera mi guarda.
«se hai intenzione di litigare sappi che sarà una lunga battaglia...»
Dice incrociando le braccia.

Alzo le sopracciglia e capisco di non essere abbasta forte per litigare in questo momento. Forse dovrei dargli un po' di tempo. Mi giro arresa e vado in cerca di un posto dove sdraiarmi un attimo.

Sono esausta. È da questa mattina che non mi sono mai fermata un attimo, mi sorprendo come le mie gambe reggano ancora. Mi sorprende come io regga ancora. Mi siedo di nuovo in sala di attesa, accanto a me una donna di circa quarant'anni con la testa tra le mani.

La osservo con la coda dell'occhio finché questa non mi guarda.
«per caso sa che ore sono?»
Balbetta tra un singhiozzo e l'altro.
Prendo il telefono per guardare l'ora è appena lo accendo noto tra le chiamate perse il numero di Cole.

Mi aveva chiamato. E io non ho risposto.
Le dico l'ora e subito dopo digito il suo numero sulla tastiera ma esito a chiamare.
La donna continua a guardarmi.
«chiamalo» mi dice asciugandosi le lacrime.

«mi scusi?» le chiedo pensando di aver capito male.
«chiamalo. Fallo o te ne pentirai per il resto della tua vita. È il tuo ragazzo. Non è cosi?»
La guardo perplessa.
«se ti chiedi come lo so, lo hai salvato con un cuore vicino al nome, da questo deduco che sia il tuo fidanzato o una persona a cui tieni molto. Ho notato che sei qui da questa mattina e che non vogliono farti entrare il quella stanza, deduco che il tuo ragazzo sia lì dentro ma non voglio farti entrare... l'unica cosa che mi sfugge è... perché?»

La guardo per un attimo confusa.
«lo so... quando si aspetta in una sala d'attesa da più di ventiquattro ore senza mangiare ne bere senza ricevere alcuna notizia si inizia a impazzire. Così osservo, cerco di vedere cosa accade alle altre persone.»
Abbasso lo sguardo.
«ho capito... non ti va di parlare.»
Dice smettendo di guardarmi.

«È complicato...»
Sussurro.
«È tutto complicato. La vita, l'amore...»
«si ma... perché deve esserlo? Perché le persone devono complicarsi la vita»
«intendi il tuo ragazzo?»
Mi chiede come se potesse leggermi nel pensiero.
La guardo negli occhi, sono degli occhi stanchi e invecchiati prima del tempo. Annuisco.
«lui... poteva dirmi di stare male, ma non l'ha fatto. L'ho lasciato io credo... poi mi ha lasciato lui, poi c'è stato l'incidente e l'ho lasciato io... di nuovo.»

La donna mi guarda per un attimo e poi scoppia a ridere.
«cazzo era davvero complicato»
Sorrido e accenno una piccola risata.
Faccio ricadere il mio sguardo sul numero di telefono e guardo la sua foto nella piccola icona in alto a sinistra. L'avevo scattata io poco tempo prima di partire alle Hawaii.
Guardo la sua faccia sorridente.

Ricordo che aveva piovuto e stavamo facendo tardi ad una cena, avevamo bucato, i nostri vestiti erano bagnati, i capelli inguardabili e ci eravamo anche persi. Ma nonostante tutto lui rideva.

«devi proprio essere innamorata a giudicare dal modo in cui lo guardi.»
«sai a molte persone darebbe fastidio il modo in cui riesci a capire tutto soltanto guardando.»
«e a te no?»
Il mio sorriso sul volto si fa più evidente.
«mi ricordi lui... il tuo modo di fare, di parlare. Ma non lo so... ultimanente anche quella sedia mi ricorderebbe Cole. Forse sento solo la sua mancanza»

«allora prendi quel telefono e chiamalo!»
«e se volesse stare solo...»
«stronzate. Nessuno vuole stare solo.»
«dovrei lasciargli un po' di spazio... non lo so... ho paura che lui...»
«tesoro... chiama il tuo ragazzo. È normale che tu abbia paura, che possa pentirti di averlo fatto, ma se non lo farai ora... te ne pentirai per tutta la vita. Fidati di una donna in preda agli ormoni che ha appena perso suo figlio»

Il mio viso sbianca di colpo. Rimango colpita dalle sue parole dette con una tale tranquillità che mi fa venire i brividi. Per un attimo cala il silenzio e quando finalmente decido di guardarla lei si decide a parlare.

«ero a casa, mio marito stava lavorando ed era una giornata tranquilla, una di quelle in cui ti alzi col sorriso e pensi ai nomi da dare al bambino quando nascerà...
Poi ha iniziato a farmi male la pancia e ho avuto paura. Tutto qui, io ho avuto paura. Avevo paura che se avessi chiamato un'ambulanza sarebbe diventato vero.»

Ha lo sguardo fisso sulla parte azzurra, quel tipico azzurro triste da ospedale che ti fa andare in depressione. Fisso i suoi occhi marroni diventare sempre più lucidi.

«due settimane, ero incinta da due settimane e non sono stata in grado di gestire la cosa perché avevo paura. Così ho fatto finta di niente e ho preso un sonnifero. Pensavo che se ci avessi riposato su una volta svegliata il dolore sarebbe passato ma mi sono svegliata con un dolore ancora più intenso in una pozza di sangue.»

Non percepisco più l'ironia di poco prima, solo il dolore di quella donna in quel momento.

«se avessi chiamato qualcuno, forse ora non sarei qui. E invece faccio finta di aspettare qualcuno che non esiste solo perché non so come tornare a casa a dire a mio marito che il bambino per cui è andato a comprare la culla non c'è più. Ho paura, tutto qui»

Le prendo la mano cercando di consolarla.
«non è stata colpa tua... l'aborto spontaneo è impossibile da prevedere tu non potevi fare nulla...»
Mi interrompe.
«non te l'ho detto perché voglio farti pena, ma perché non voglio che tu faccia lo stesso errore. Ho bisogno di un lieto fine. Chiama il tuo ragazzo prima che sia troppo tardi»

Chiudo gli occhi e afferro il telefono. Lo porto all'orecchio senza smettere di tramare. Ho paura si... ma dopo aver sentito questa storia voglio solo sentire la sua voce.

«pronto?»
Smetto di tremare e stringo istintivamente la mano della donna accanto a me che deve capire tutto in quanto ricambia la presa. Apro gli occhi e accenno un lieve sorriso.

«hey... come stai?»
Dico asciugandomi una lacrima che stava per uscire. Ho già pianto abbastanza. Mi mordo il labbro aspettando di sentire di nuovo la sua voce dall'altra parte.

«scusa... Ma chi sei?»



Continua...

GO AHEAD~ Cole & LiliWhere stories live. Discover now